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sabato 11 giugno 2022

Le “Grandi Pietre” dell’Aspromonte

di Anna Rosa Scalise

Il Massiccio dell’Aspromonte è una struttura impervia a picco sul mare che ha sede nell’estrema propaggine meridionale della Calabria; per la sua posizione geografica e per le sue caratteristiche geomorfologiche dalla sua vetta più alta (Montalto, 1956 m s.l.m.) è possibile osservare paesaggi esclusivi che dal Mar Tirreno si estendono fino allo stretto di Messina, alle isole Eolie e al Mar Ionio. I versanti acclivi coperti da una lussureggiante vegetazione sono spesso solcati da profonde incisioni sede di corsi d’acqua conosciuti come “fiumare”; queste orlano a raggiera l’intero Massiccio che dopo ripetute cascate sfociano in ampie piane alluvionali costiere.

L’Aspromonte è un Massiccio che fa parte di un importante struttura geologica nota in letteratura scientifica come Orogene Calabro-Peloritano, un tratto di catena montuosa e arcuata di rocce metamorfiche e magmatiche compresa tra i monti del Pollino a Nord e la linea di Longi-Taormina a Sud. Questa struttura geomorfologica è così speciale da essere considerata un Geoparco, riconosciuto di recente a livello internazionale come Patrimonio dell’Unesco; si tratta di un territorio che possiede un patrimonio geologico particolare da proteggere e valorizzare.

Le sue caratteristiche forme severe e imponenti sono uniche in tutto il Mediterraneo e sono il risultato di una storia geologica ed un’evoluzione geodinamica derivante dall’interazione della placca continentale europea con quella africana, iniziata milioni di anni fa è tuttora in corso. L’avvenuta collisione delle placche durante l’orogenesi alpina ha determinato l’ossatura di massicci di rocce cristalline osservabili in Sardegna, Corsica e in parte nelle Alpi. Queste rocce sono molto diverse per età e composizione da quelle sequenze sedimentarie che affiorano lungo l’Appennino oltre il confine calabro-lucano.

Il sollevamento relativamente veloce del basamento metamorfico dell’Aspromonte ha provocato la formazione lungo i versanti montuosi di scivolamenti di grandi masse rocciose, molte di queste aree in dissesto sono così singolari e tipiche da essere identificate come “geositi” di importanza nazionale e internazionale. Beni naturali unici del territorio intesi come elementi di pregio scientifico e ambientale del patrimonio paesaggistico.

Nel settore orientale del Massiccio dell’Aspromonte nei territori dei comuni di San Luca e Careri si estende una grande valle aperta verso il mar Jonio denominata “Valle delle Grandi Pietre”, uno degli ambienti più significati del Parco Nazionale dell’Aspromonte, dove emergono da una lussureggiante vegetazione di alberi di leccio, di castagni e di querce, grosse pietre ciclopiche, di colore grigio bruno, modellate dall’azione meteorica ed eolica in gigantesche forme bizzarre, vere opere d’arte, depositarie di leggende e storie; molte di queste superano cento metri di altezza e sono ubicate prevalentemente lungo il margine settentrionale della “Fiumara Buonamico”.

La valle delle Grandi Pietre

La maggior parte di questi monoliti sono il frutto di un’attività erosiva differenziale della cosiddetta “Formazione di Stilo - Capo d’Orlando”, riportata nel Foglio geologico alla scala 1:50.000 n. 603 Bovalino, come una successione terrigena dell’Oligocene sup. - Miocene inf., un’alternanza di sedimenti silico-clastici depositati lungo canyon profondi di antichi fondali marini in erosione, costituiti da conglomerati, argille con intercalazioni siltose e spessi strati arenacei. Questi sedimenti clastici costituiscono una successione a carattere torbiditico che prendono il nome di “flysch”. Si tratta di rocce sedimentarie terrigene che fanno parte del “flysch di Capo d’Orlando”, una successione trasgressiva su calcari della formazione di Stilo quando ancora la Calabria era attaccata alla Sardegna.

Questi depositi, infatti, sono stati prodotti dallo smantellamento di un antico orogene originariamente collocato in Sardegna prima della separazione del blocco Corsica - Sardegna - Calabria da quello della Spagna - Francia. La separazione dei blocchi è avvenuta con i movimenti lenti delle placche che hanno generato l’apertura del Mar Ligure e poi quella del Mar Tirreno separando definitivamente la Calabria dalla microplacca Sardo-Corsa che è migrata verso est fino a raggiungere la posizione attuale portandosi in sommità la “Formazione di Stilo - Capo D’Orlando”.

(da Cirrincione et alii, 2016)

Tra i monoliti più spettacolari sono da annoverare la “Pietra Cappa”, la “Pietra Longa” (la più aguzza di tutti), la “Pietra di Febo”, la “Pietra Castello” (che prende il nome oltre che dalla posizione tipica di un’antica fortificazione anche dai resti di un castello e della chiesa di San Giorgio di epoca bizantina), la “Pietra Tonda”, la “Pietra Stranghiolo”, la “Pietra Salva” e le “Rocche di San Pietro” (con l’asceterio).

Le grandi pietre

La “Pietra Cappa” sorge al di sopra del paese di Natile Vecchio a quota 829 metri; si tratta di un gigantesco monolite imponente e misterioso, un “panettone geologico” così chiamato per la sua forma, conosciuto nella zona con il nome di “a Petra du Tamburinaru”, che si distingue per il suo profilo a cupola dalle guglie aguzze ed aspre delle cime metamorfiche. Da un punto di vista geomorfologico è un “butte”, un rilievo che occupa una superficie di 4 ettari caratterizzato da pareti ripide e sommità piana, il diametro della superficie sommitale è di circa 70 metri, le pareti superano 140 metri di altezza. Per le sue dimensioni rappresenta il monolite più grande di Europa ed è la roccia simbolo sia della “Valle delle Grandi Pietre” che del Parco Nazionale dell’Aspromonte.

Pietra Cappa

Per la sua peculiarità geologica è stato riconosciuto come un “Geosito” di rilevanza internazionale dell'“Aspromonte Geopark Unesco”, costituito da conglomerati, ovvero sabbia e grossi ciottoli arrotondati e cementati tra loro, di natura granitica e metamorfica, di dimensioni variabili da pochi centimetri a qualche metro. La similitudine petrografica e geochimica di questi frammenti di rocce granitiche con gli ammassi rocciosi attualmente affioranti in Sardegna è un’ulteriore conferma del fatto che il segmento di Orogene Calabro-Peloritano era, almeno fino al Miocene superiore prima che incominciasse ad aprirsi il bacino tirrenico, fuso con il blocco sardo-corso.

Pietra Cappa

L’azione erosiva degli agenti atmosferici avvenuta nel corso del tempo è tuttora in corso e continua a modellare le forme della “Pietra Cappa” tra le sue caratteristiche una galleria percorribile ricavata dalla posizione inclinata di un costone, attraversa un fianco del monolite

Il territorio della “Vallata delle Grandi Pietre” abbonda di luoghi ricchi di legende suggestive sia di natura religiosa che esoterica con testimonianze di antichi insediamenti umani e importanti reperti che vari studiosi hanno segnalato essere di un periodo che va dalla Preistoria all’età Bizantina.

Di particolare fascino le “Rocche di San Pietro”, a forma di largo cono, poste sul versante opposto del torrente Menica di fronte alla “Pietra Cappa”. La cima delle “Rocche di San Pietro” è scavata a forma di caverna su due piani intercomunicanti e con molte aperture. Nell’antichità, in un periodo compreso tra il VII e il IX secolo d.C., furono utilizzate come riparo da religiosi ed eremiti di rito greco e da monaci basiliani provenienti dall’oriente. Essi fuggivano dalle persecuzioni dell’Imperatore bizantino Leone III, detto Isaurico, che nel 726 per consolidare l’autorità imperiale emanò un decreto che ordinava la distruzione delle immagini sacre e delle icone in tutte le province dell’Impero. Questi monaci alla ricerca di luoghi mistici ed evocativi dove poter mettere in pratica la contemplazione, la preghiera, la solitudine e il lavoro che erano i punti cardine della Regola di San Basilio Magno, giunsero fino in Italia meridionale. In Calabria trovarono ricovero negli ambienti di “Pietra Cappa”, in questi luoghi, impervi, solitari e ricoperti di boschi, requisiti che molti secoli fa furono conformi alle esigenze della loro vita di asceti eremiti.

Le rocche di San Pietro

Altri “Geositi” di rilevanza internazionale, si rinvengono nella area meridionale dell’Aspromonte, riconosciuti come laRocca e le Caldaie del Drago” e le “Dolomiti di Canolo” e al margine settentrionale il “Monte Tre Pizzi” e le “Rocche degli “Smaliditti”.


Per approfondire:

Cirrincione R., Fazio E., Fiannacca P., Ortolano G., Pezzino A., Punturo R., Romano V., Sacco V. (2013) - The Alpine evolution of the Aspromonte Massif: contraints for geodynamic reconstruction of the Calabria-Peloritani Orogen. Geological Field Trips, Vol. 5, No.1.1, 73 pp.

Cirrincione R., Fazio E., Fiannacca P., Ortolano G., Pezzino A., Punturo R. (2016) - Guida Geologica dell’Aspromonte. Aspromonte Parco Nazionale - Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Laruffa editore.

Servizio Geologico d’Italia - ISPRA (2015) - Foglio 603 Bovalino, Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000.

Servizio Geologico d’Italia - ISPRA (2016) - Note illustrative del Foglio 603 Bovalino, Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000. 

martedì 1 maggio 2018

La "Rocca tu Dracu" e i "Caddareddi" di Roghudi

di Marco Pantaloni

Nella Calabria greca, su uno sperone roccioso affacciato sul corso della Fiumara Amendolea, si trova il borgo di Roghudi. La sua posizione isolata ha permesso la conservazione delle usanze e del dialetto dai tipici caratteri neogreci. Il nome del paese, Richùdi o Rigùdi in greco di Calabria, si fa derivare dal termine greco ῥάχῃ (rupe) o ῥαχώδθς (rupestre).




L’abitato di Roghudi vecchio, abitata sin dal 1050, venne abbandonata dopo due fortissime alluvioni avvenute nel 1971 e nel 1973 e l’attivazione di alcune frane. Per circa 18 anni, la popolazione originaria venne distribuita nei paesi limitrofi fino al 1988, quando venne edificata Roghudi nuova, a circa 40 km di distanza dal vecchio centro, lungo la costa ionica in prossimità di Melito di Porto Salvo.
A distanza di qualche chilometro da Roghudi vecchio, ubicata sui versanti dell’Aspromonte, sorge la frazione Ghorio, un piccolo nucleo di case quasi disabitato. Da qui è possibile raggiungere un curioso sito geologico, particolarmente interessante.

Si tratta di un masso conosciuto localmente come “Rocca tu Dracu“ (roccia del drago), un grosso monolite trapezoidale da un vago profilo aquilino, caratterizzato dalla presenza, su un lato, di due cogoli arrotondati che alludono a grandi occhi. In prossimità di questo, si trova poi un affioramento roccioso con evidenti gibbosità sulla superficie, anch'esse dovute a fenomeni erosivi, la cui presenza richiama la leggenda di piccole caldaie contenenti latte (Caddareddhi) che alimentavano un drago custode di un ricco tesoro.


Immagine tratta da: www.calabrianotizie.it
La "Rocca tu Dracu" (Rocca del Drago)
I "Caddareddi" (Le caldaie del latte)



Di Roghudi e dei problemi dei fenomeni franosi del territorio calabrese si occupò il vulcanologo napoletano Venturino Sabatini. Infatti, nel 1908 Sabatini fu incaricato di studiare i fenomeni franosi del territorio calabrese e nel 1909 partecipò ai lavori della Commissione reale per la designazione delle zone più adatte alla ricostruzione degli abitati colpiti dal terremoto di Messina e Reggio di Calabria del 28 dicembre 1908. Dopo i suoi rilievi compiuti nel territorio dell’Aspromonte, pubblicò nel 1909 un lavoro dal titolo “Contribuzione allo studio dei terremoti calabresi”, nel Bollettino del R. Comitato geologico d’Italia, vol. 10, pagine 235-345, nel quale analizzò gli effetti al suolo del sisma e riprodusse, in due figure, le spettacolari forme di erosione che, evidentemente, colpirono la sua attenzione.


Immagine contenuta in:
Sabatini V. (1909) - Contribuzione allo studio dei terremoti calabresi.
Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia, 10, 235-345

L’analisi della Cartografia Geologica d’Italia in scala 1:100.000, pubblicata nel 1885 a cura di Emilio Cortese, riporta il sito di Roghudi e della frazione Ghorio, come costituito da scisti anfibolici, micascisti e gneiss.

Stralcio del foglio 254 Messina - Reggio Calabria
della carta Geologica d'Italia alla scala 1:100.000
(Servizio Geologico d'Italia - ISPRA)

Stralcio della legenda del foglio 254 Messina - Reggio Calabria
(Servizio Geologico d'Italia - ISPRA)

Per saperne di più:



mercoledì 4 settembre 2013

Le canne d'organo a Belvedere Marittimo (CS)

di Anna Rosa Scalise

A Belvedere Marittimo, nel tratto di costa tirrenica cosentina, tra la località di Piano delle Donne, a nord, e la foce del torrente Sangineto, a sud, singolari forme erosive di straordinaria bellezza e particolarità sono la testimonianza di processi di modellamento della superficie terrestre intensi e veloci che conferiscono a questo territorio un fascino particolare.





L’area è caratterizzata da terrazzi marini profondamente incisi, costituiti da depositi sabbioso-conglomeratici, che si sviluppano in scarpate verticali di circa 25-30 metri sul livello del mare. Le caratteristiche sedimentologiche di questi terrazzi sono diverse: l’area che si estende da nord sino all'abitato della Marina di Belvedere è costituita da sabbie gialle con livelli di ciottoli, mentre quella a sud da conglomerati con livelli sabbiosi. Le sabbie, giallastre, sono poco coerenti, non contengono fossili e presentano livelli conglomeratici, bruni o bruno-rossastri, di spessore variabile. I clasti, ben arrotondati, sono costituiti prevalentemente da rocce ignee e metamorfiche.
I conglomerati ocracei, di età pleistocenica, si evidenziano in banchi particolarmente compatti con frequenti livelli sabbiosi, con clasti ben arrotondati la cui dimensione è dell’ordine massimo di 10 cm. Frequenti i livelli sabbiosi.

 

sabato 31 agosto 2013

Le cinque dita

di Marco Pantaloni

Nell’area Grecanica della Calabria, in uno stupendo paesaggio, sorge l'antico abitato di Pentedattilo (o Pentidattilo), in provincia di Reggio Calabria, che gode di una splendida vista sulla Sicilia e sull’Etna.
Il borgo ha origini antichissime e prende il suo nome dalla forma della roccia che lo sovrasta: il toponimo deriva da penta e daktylos e significa cinque dita. Il paese, infatti, sorge alle pendici della Roccia di Pentidattilo che, con la sua forma, ricorda proprio le dita di una mano, anche se alcuni crolli recenti hanno mutato l'aspetto originario.


L'abitato sovrastato dalla Roccia di Pentidattilo,
dalla caratteristica forma a cinque dita

(autore GJo, fonte Wikipedia)
Così ebbe a scrivere Edward Lear nel 1847 nel suo "Diario di un viaggio a piedi":
Ci siamo incamminati; il nostro percorso seguiva una faticosa e tortuosa strada lungo il letto del fiume Alice, e dopo divenne un percorso aspro e discosceso attraversando il fiume della Monaca prima che Pentedattilo fosse visibile; giacché questo strano borgo è così situato che, per quanto sia visibile da tutti i lati attorno, gli si può passare accanto senza accorgersi della sua vicinanza.
Il burrone dove il fiume scorre è pieno e bloccato da rocce scoscese a sud della grande rocca dove la città è costruita; così è necessario attraversarle dal lato occidentale del ruscello, e salire le alture che lo chiudono, prima di riattraversarlo per raggiungere infine la rimarchevole rocca. 
Ma avendo raggiunto l’altura opposta, l’apparire di Pentedattilo è perfettamente magico, e ripaga qualunque sacrificio fatto per raggiungerla. Selvagge sommità di pietra spuntano nell’aria, aride e chiaramente definite in forma (come dice il nome) di una mano gigantesca contro il cielo, le case di Pentedattilo sono incuneate all’interno delle spaccature e dei crepacci di questa piramide spaventosamente selvaggia, mentre tenebre e terrore covano sopra l’abisso attorno alla più strana abitazione umana.
Edward Lear, ritratto di Wilhelm Marstrand, 1840