26 e 27 gennaio 2023, Sala Ulisse, Accademia delle Scienze di Bologna
Via Zamboni 31, Bologna
26 e 27 gennaio 2023, Sala Ulisse, Accademia delle Scienze di Bologna
Via Zamboni 31, Bologna
di Giovanni Martinelli
Nell'antichità l'interesse
dell'uomo per i gas presenti in natura era di tipo religioso, mentre in epoca
storica è diventata di tipo scientifico e in epoca moderna di tipo anche industriale.
I gas venivano utilizzati anche per scopi pratici più di 3 000 anni prima del
presente, basti pensare alle popolazioni cinesi che utilizzavano il metano per
l'estrazione del sale. Lo sviluppo del pensiero umano sui gas ha seguito i
passi fondamentali che hanno caratterizzato le scienze naturali durante la
rivoluzione scientifica del XVIII secolo, basati su significativi miglioramenti
nei metodi di analisi. Le pubblicazioni scientifiche attuali dimostrano la
varietà dei settori di interesse della geochimica dei gas e il recente
incremento della collaborazione con le scienze geofisiche per risolvere
problemi di interesse comune di carattere geologico, energetico e ambientale.
L'esistenza di convegni di carattere dedicato e la diffusione di riviste
scientifiche in parte dedicate alla geochimica dei gas conferma che si è da
tempo conclusa la fase pionieristica dell’ambito disciplinare e si è entrati in
una fase culturalmente più matura.
È utile osservare che nella
recente pubblicazione di Zheng G., Martinelli G., Wang Y., Li S., Ma X. (2022) -
Notes for a History of Gas Geochemistry. Journal of Earth Science, XX, No. XX,
1-10, circa il 10% dei nomi degli Autori citati in bibliografia è di
ricercatori italiani che dagli anni '60 fino ai giorni attuali hanno lasciato
tracce rilevanti su pubblicazioni scientifiche e fa ricordare anche al grande
pubblico l’impegno scientifico italiano in questo settore delle geoscienze.
In particolare, vanno ricordati Franco
D'Amore che resterà famoso per avere inventato, tra le altre cose, la
terminologia "gas geochemistry" nella seconda metà anni '70,
sincronicamente con Werner Giggenbach (D&NZ, https://de.wikipedia.org/wiki/Werner_Giggenbach)
e Erik Mikhaylovich Galimov (RU, https://en.wikipedia.org/wiki/Erik_Galimov).
Inoltre, un ruolo fondamentale
nella storia della geochimica lo ebbe Umberto Colombo (https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Colombo)
che classificò, tra i primi al mondo, gli idrocarburi gassosi, con particolare
riferimento ai metani italiani tramite l'impiego di tecniche isotopiche.
Umberto Colombo (fonte wikipedia)
Quest'anno ricorre il centesimo anniversario della morte di Giovanni Capellini, nato alla Spezia il 23 agosto 1833, laureato nel 1858 in Scienze presso l'Università di Pisa, dal 1861 all' Università̀ di Bologna titolare della prima cattedra italiana di Geologia nell'allora neocostituito Regno d'Italia.
In collaborazione con l'Accademia Lunigianese di Scienze, il Comune della Spezia, di Lerici, il Museo di Storia Naturale di Pisa, il Museo di Geologia “ G. Capellini “ di Bologna, i Musei Civici della Spezia e della Società Toscana di Scienze Naturali è stata realizzata a La Spezia (Museo Etnografico) la mostra paleontologica “Fossilia”, visitabile fino a fine anno.
A completamento delle attività di celebrazione l'Accademia Capellini in collaborazione con le Università di Pisa e Bologna, La Società Geologica Italiana, La Società Paleontologica Italiana, il Consiglio Nazionale dei Geologi, l'ISPRA, La Società Toscana di Scienze Naturali, l'Ordine dei Geologi della Liguria, L'Associazione Nazionale di Archivistica Italiana e L' Accademia dei Fisiocritici, sono state organizzate 5 giornate di studio, con partecipazione libera e gratuita.
La prima (figura 1) il 30 settembre 2022, presso la sede dell'Accademia Capellini alla Spezia, dedicata alla paleontologia, dal titolo: “Le faune neogeniche e quaternarie del Mediterraneo Centrale: I fossili ed i luoghi della ricerca di Giovanni Capellini”.
Seguiranno (figura 2) il 7 e 14 ottobre 2022, con sede presso il Castello di Lerici (SP). le giornate dedicate alla geologia dal titolo: “Dalla geologia del Golfo al Mediterraneo: eredità scientifiche, cartografia geologica e problematiche da G. Capellini ad oggi”.
Ed infine (figura 3) il 25-26 novembre 2022, presso la sede dell'Accademia Capellini della Spezia, con il convegno storico: ”Giovanni Capellini scienziato nell'Unità d'Italia”, si chiuderà il ciclo di studi dedicato al grande scienziato spezzino.
Per il Comitato Organizzatore
Prof. Giuseppe Benelli
Presidente Accademia Lunigiane di Scienze
di Alessio Argentieri
Rilanciamo l’articolo
pubblicato sull’ultima uscita in digitale di Professione Geologo,
notiziario online dell’Ordine dei Geologi del Lazio
(https://blog.geologilazio.it/)
L’articolo è consultabile
anche al seguente link:
https://blog.geologilazio.it/2022/06/30/estrosi-geologi/
INTRODUZIONE
Le fondamenta del progetto Geoitaliani
(www.geoitaliani.it) poggiano sulle figure quasi leggendarie dei precursori
delle scienze naturali nel nostro Paese, sviluppatesi pienamente dal
Rinascimento. Protagonisti di questi albori furono studiosi poliedrici, attivi
in campi disparati (anatomia, botanica, alchimia, metallurgia, chimica,
medicina, zoologia, orittologia, e forse anche stregoneria…). Questa tendenza
alla multiformità di interessi, la cui massima espressione si incarnò in
Leonardo da Vinci, si è propagata nel tempo e nello spazio, lasciando una
traccia nel ‘DNA virtuale’ dei geologi italiani, sino ai giorni nostri.
Questo confusionario contributo è un
repertorio, ovviamente incompleto, di personaggi che hanno sviluppato e
coltivato, nel passato recente e prossimo, interessi paralleli alla passione
per la geologia. Partendo dal contributo istrionico dei geologi attori alla
Settima Arte si passa alle performances sportive e si chiude con quelle
musicali e poetiche.
PRIMO
ATTO- LA SETTIMA ARTE: GEOLOGI ATTORI
Fatta la premessa, non resta ora che
iniziare proferendo le parole magiche: “MOTORE!
PARTITO! CIAK! AZIONE!”
E’ d’obbligo avviare la rassegna con le
presenze sul grande schermo, e da una foto che per prima ha ispirato questo
racconto: tre giovani prestanti in costume di scena, a formare una piccola
piramide umana (Fig. 1). Sono Ernesto Centamore (futuro rilevatore
del Servizio Geologico d’Italia e poi professore presso le Università di
Camerino e Roma- Sapienza) e Biagio
Camponeschi (docente presso la Facoltà di Ingegneria della Sapienza e a
Perugia), giovani figuranti del più famoso Colossal della storia del cinema: Ben Hur, prodotto dalla Metro Goldwyn
Mayer e realizzato a Roma negli studi di Cinecittà, tra il 1958 e il 1959, con
la regia di William Wyler. La pellicola, che ottenne 11 Oscar, richiese uno
sforzo economico imponente: 15 milioni di dollari, una parte dei quali
utilizzata per pagare i circa 50.000 tra generici, figuranti e comparse
reclutati a Roma. Tra di loro, gli aitanti giovanotti nella foto. Ernesto, come
“generico extra di prima categoria” ricoprì durante le riprese più ruoli: pretoriano
con lancia e scudo piantato solidamente davanti alla meta; pirata; tamburino
portainsegne. Memorabili i racconti della scene della Via Crucis, nelle esotica
location simbruina degli Altipiani di Arcinazzo, e della battaglia navale nel
vascone di Cinecittà, con il pirata Biagio Camponeschi che liscia tragicamente
la passerella durante l’arrembaggio, sparendo lungo la murata
dell’imbarcazione. Vengono perciò in mente le parole di Walter Alvarez: “my friend Ernesto Centamore, a giant Italian
with a gargantuan appetite for life, for food, and for geology” (in “T. rex and the crater of Doom”, 1997):
una definizione concepita sulle montagne umbro-marchigiane negli anni ’70, che
ancora oggi gli si attaglia alla perfezione.
Restando in campo cinematografico, un
laureato in Scienze Geologiche del Dipartimento di Scienze della Terra
dell’Università di Camerino ha scelto la passione della gioventù, la
recitazione. E’ il camerte Cesare Bocci,
classe 1956, tra i cui meriti artistici è impossibile non citare in primis l’aver dato meravigliosamente
corpo al Vicecommissario Mimì Augello: senza di lui, non avrebbe ragion
d’essere neanche l’amato Commissario Montalbano. Grazie a fonte confidenziale
attendibile, ecco una chicca (poi confermata dallo stesso interessato) sulle
prime interpretazioni di Bocci, abile a cambiar dialetto: durante una serata di
un’escursione di universitari camerti, Cesare si produsse assieme al compagno
di studi Peppe Vella in un’applaudita imitazione della coppia formata dal
romano Centamore e dal gallurese Giovanni Deiana (coraggiosamente fatta davanti
ai due originali). Ricordiamo infine che il cordiale Cesare, oltre a prestare
il proprio volto a molte iniziative benefiche, è anche testimonial della
“Settimana del Pianeta Terra”.
Spariamo adesso un’altra cartuccia
formidabile. Negli anni ‘50 sul Lago Maggiore si doveva fare veramente una
bella vita; lascio che ne assaporiate l’atmosfera attraverso le parole di chi
lo ha raccontato: “Sono nato e cresciuto
sul Lago Maggiore, a Stresa, e nel primo dopoguerra c'erano il casinò, le prime
elezioni di Miss Italia e tanto movimento, per cui era normale che girassero
tanti film, e che noi ragazzi del paese venissimo invitati a partecipare, come
comparse e talora come caratteristi. Così sono stato comparsa in “Una notte con
te”, “Cronaca di un amore”, e altri di cui non ricordo il titolo, mentre ho
avuto una particina in “Miss Italia”, dove rappresentavo uno studente
secchione, con gli occhiali, fan di una Miss Italia che era la Gina
Lollobrigida (che io già conoscevo di persona). Quando mi è capitato, dopo
cinquanta anni, di vedere il film, non ho più ritrovato alcune scene che avevo
girato, ma avevo conservato delle locandine, tra cui quella che ti ho
trasmesso. Tutto qui, allora come futuro geologo andavo a mezzogiorno alle cave
di Baveno, quando facevano saltare le mine, a cercare tra i massi frantumati
dei bei cristalli di quarzo e ortoclasio. Ma ero ancora in prima liceo.”
Quel ragazzo, amico delle belle attrici dell’epoca, era Antonio Praturlon (fig. 2, fig. 3),
futuro membro della “trinità geologica” con Colacicchi e Castellarin. E un
altro piccolo coup de théâtre: chi
era lo sceneggiatore di “Miss Italia”? Vittorio Nino Novarese, vincitore poi di
due premi Oscar come costumista, ma soprattutto figlio del grande geologo
torinese Vittorio Novarese.
Il legame tra geologia e cinema ci porta
ora a tre fratelli originari di Amelia, presso Terni: Odoardo, Piero e Mario Girotti, tutti e tre con esperienze di
recitazione. Per Mario, noto con il nome d’arte di Terence Hill, una
lunghissima carriera iniziata coi Musicarelli degli anni ’50, poi il grande
successo tra la fine dei anni ’60 e i ‘70 come cowboy (spesso sugli scenari
delle montagne appenniniche) e dopo molti anni, quale prete in bicicletta con
tonaca e baschetto, su quelle ‘Montagne di San Francesco’ tanto care ai
geologi. Veniamo al fratello maggiore Odoardo
Girotti, geologo quaternarista e già professore presso La Sapienza, e alla
sua presenza cinematografica di gioventù in Viale
della speranza di Dino Risi (1952), il cui protagonista era Marcello
Mastroianni (piccola divagazione: Marcello, in virtù del diploma di perito
edile, lavorò durante la Seconda Guerra Mondiale come disegnatore tecnico
presso l’Istituto Geografico Militare di Firenze; un'altra sottile liaison tra cinema e discipline della
Terra). Infine, per completezza di informazione, menzioniamo il minore dei
fratelli Girotti, Piero, che recitò come attore in Il padrone sono me! di Franco Brusati (1955), con Paolo Stoppa e
Andreina Pagnani.
Il paleontologo Carlo Sarti, classe 1962, nativo di Budrio e laureatosi
all’Università di Bologna, è il curatore del Museo Geologico “Giovanni
Capellini”. Ricercatore, scrittore e divulgatore, è anche regista e
sceneggiatore di lungometraggi e cortometraggi; tra i titoli della sua
filmografia citiamo Goodbye Mr. Zeus
del 2009 e La finestra di Alice del
2013.
Leo
Ortolani, classe 1967,
pisano di nascita ma parmense d’adozione si è laureato in scienze geologiche
all’Università di Parma; è affermato disegnatore, fumettista e creatore di
graphic novels, tra cui spicca la celebre serie “Rat-Man” (trasposta anche in cartone animato). La passione
d’origine emerge da uno dei lavori più recenti di Ortolani, dal titolo Dinosauri che ce l’hanno fatta, pubblicato
nel 2020 dopo una lunghissima gestazione iniziata, a sua detta, nel lontano
1972.
Altro personaggio è Gildo Di Marco, abruzzese di Sulmona, classe 1946. Studente di
Scienze Geologiche alla Sapienza di Roma negli anni ’60, si
laureò sotto la guida di Ruggero Matteucci con una tesi in micropaleontologia
sulla successione laziale-abruzzese. Fu attore cinematografico, poi insegnante
e ideatore della manifestazione rievocativa “Giostra cavalleresca di Sulmona”.
Tra i lavori cinematografici più recenti di Gildo menzioniamo Mala tempora
(2008) di Stefano Amadio, Baùll di
Daniele Campea (2014), Un’icona d’argento
(2017). La sua carriera artistica iniziò e si sviluppò tra gli anni ’60 e ’70,
quando prese parte come attore caratterista a numerose pellicole di genere:
Spaghetti-western (I Quattro dell’Ave
Maria, 1968; Un esercito di cinque
uomini, 1969; Arizona si scatenò... e
li fece fuori tutti!, 1970; Continuavano
a chiamarlo Trinità, 1971; Gli
fumavano le colt… lo chiamavano Camposanto, 1971; Uomo avvisato mezzo salvato… Parola di Spirito Santo, 1971; Sentivano uno strano, eccitante puzzo di
dollari, 1973); horror italiani anni ’70 con Dario Argento (L'uccello dalle piume di cristallo,
1970; 4 mosche di velluto grigio,
1971; Il tram, 1973); drammi come La bellissima estate (1974) di Sergio
Martino; commedie quali Armiamoci e
partite (1971) con Franchi e Ingrassia, Il
terrore con gli occhi storti (regista Steno e protagonista Enrico
Montesano, 1972), ma soprattutto Brancaleone
alle crociate (1970). In quest’ultima pellicola, capolavoro del cinema
italiano firmato dalla triade Monicelli-Age-Scarpelli, Gildo era tra i membri
dell’armata di sgangherati in Terra Santa, ricoprendo il ruolo dello storpio ma
vedente sempre portato, in una bizzarra simbiosi, a cavacecio dal cieco (Fig. 4). E’ lui l’oggetto di una delle migliori
battute del film, magistralmente recitata da Adolfo Celi, il re Boemondo che
parla in siculo a rima baciata, come nel Teatro dei Pupi: sul campo di
battaglia, sotto le mura di Gerusalemme, Boemondo chiede a Brancaleone mentre
passano in rassegna l’armata pronta alla pugna: “Vene cuntra a li nimici/ puri chiddu a cavacici?”. Tutto
assolutamente sublime…
SECONDO ATTO- MENS SANA IN CORPORE SANO: GEOLOGI
ATLETI
La pratica dell’attività sportiva,
specialmente quella agonistica, fu opportunità per i prestanti giovanotti
menzionati nella prima parte per essere notati in quanto atleti e quindi
introdotti nel cinema. Sia Odoardo
Girotti che il fratello Mario ebbero negli anni ‘50 una esperienza
agonistica come nuotatori presso la S.S. Lazio. Ernesto Centamore praticava invece il canottaggio.
Nel rugby eccelse Guglielmo Colussi, che alla professione geologica svolta all’estero
affiancò una carriera rugbistica prima da giocatore (S.S. Lazio, CUS Roma e
Rugby Roma) con 7 caps nella
Nazionale maggiore (tra il 1957 e il 1968- Azzurro n. 164), poi da allenatore e
dirigente sportivo. La maglia azzurra la vestì anche Mario Percudani (9 caps negli anni ’50. Azzurro n. 135), laureato
in geologia che però fece l’imprenditore ortofrutticolo, 3 scudetti con la
Rugby Parma. Nel campo affine dell’ingegneria idraulica e dell’idrologia si
trova un terzo azzurro (4 presenze), il veneziano Andrea Rinaldo, ordinario di costruzioni idrauliche all’Università
di Padova, già seconda linea del Petrarca, poi presidente del club patavino e
dirigente della Federazione Italiana Rugby. Nella palla ovale si sono inoltre
cimentati, a livello giovanile o amatoriale, vari geologi, tra cui: Lamberto Pannuzi, l’attuale presidente
SGI Sandro Conticelli, Claudio Faccenna,
Andrea Billi, Massimo Fabiani, Pierfrancesco Grangié, Marcello Goletti, Dario
Tinti.
E in una galleria quasi tutta di
personaggi maschili figura anche Patrizia
Costa Pisani, laureata in scienze geologiche alla Sapienza con il già
citato Centamore. Oggi Patrizia è senior staff seismic imaging geophysicist
alla compagnia petrolifera Chevron (Houston, Texas, USA); a questo brillante
curriculum si affianca anche un passato rugbistico di buon livello con
l’Arvalia Rugby Villa Pamphili a Roma, che le è valso due presenze ufficiali
con la Nazionale maggiore femminile.
Il paleontologo Nino Mariotti fu invece pallavolista in gioventù con il CUS Roma
(1958-70), poi allenatore della squadra femminile in serie A (fino al 1986) e
della juniores maschile che vinse il campionato italiano.
Il legame tra l’atletica leggera e la
geologia lo incarnò appieno Renato
Funiciello, il cui percorso intrecciato tra scienza e sport, prima come
praticante e poi come precoce allenatore, è stato raccontato sul numero 36 di questa rivista (2013). Ma Renato
non fu il solo a calcare le piste di tartan: negli anni ’60 si strutturava a
Roma una nuova leva di atleti tra gli studenti universitari, aggregati attorno
al Centro Universitario Sportivo Italiano. Tra i laureandi e giovani
ricercatori di allora alterneranno le calzature sportive agli scarponi da
montagna anche Gianni Lombardi, Umberto Nicosia, Giovanni “Jack” Pallini
(più noto per le passioni pantagrueliche), Francesco
Schiavinotto, Maria Alessandra Conti. Tra i docenti citiamo Antonio Praturlon e Giuseppe Sirna. Rivedere oggi,
nell’epoca dell’abbigliamento sportivo griffato e delle scarpe di colori
diversi e sgargianti, queste meravigliose immagini di tute striminzite, di
tessuti scomodi e tutt’altro che antitraspiranti, di abbinamenti di capi
improbabili fa sorridere, commuovere e inorgoglire allo stesso tempo (fig. 5, 6). Infine menzione per il professionista e
autore di testi tecnici Giulio Riga,
calabrese, che negli anni fu buon mezzofondista (800
e 1500 m), allenato da Funik e da Oscar Barletta, vestendo i colori delle
Fiamme Gialle e della nazionale.
Fig. 6 - Maratona di Capodanno di Roma organizzata dal CUS
(1977): da sinistra Sandra Conti, Umberto Nicosia, Gianni Lombardi, Giovanni
Pallini e Renato Funiciello.
TERZO ATTO- ISPIRATI DA EUTERPE E CALLIOPE, OVVERO DEI GEOLOGI MUSICISTI E POETI
Le Muse Euterpe e Calliope hanno
ispirato diversi geologi nella musica e nella poesia.
Un personaggio peculiare è il parmense Roberto Mantovani (1854-1933) che, dopo
essersi diplomato in violino alla Regia Scuola di Musica della sua città,
divenne scienziato autodidatta. Ebbe un’esistenza originale, che lo portò
dapprima per ragioni concertistiche all’isola di Reunion, dove si trattenne e
visse poi per 15 anni, mettendo su famiglia e guadagnandosi da vivere come
insegnante di musica e console onorario italiano. La permanenza nell’Oceano
Indiano (su quello che in seguito sarebbe stato identificato come uno hot spot) lo portò a formulare precoci
considerazioni di geodinamica: il contributo più noto di Mantovani, esposto in
uno scritto del 1909, è infatti una teoria di deriva continentale connessa ad
espansione del pianeta per dilatazione. La paternità del concetto di mobilità
dei continenti, seppur in forma ancora embrionale e confusa, gli fu
riconosciuta vent’anni dopo dallo stesso Alfred Wegener nel suo celebre “Die Entstehung der Kontinente und Ozeane”
del 1929. Successivamente Mantovani si trasferì alle Isole Mauritius e poi in
Bretagna.
Altra vicenda, di tempi meno remoti e luoghi non esotici. Nel 1976 si creò a Roma, nella grande stagione che ebbe il Folkstudio di Trastevere come luogo simbolico, il “Gruppo di musica acustica e medievale”. L’ensemble sviluppò un repertorio che, partendo dal Medioevo e dal Rinascimento europei, si è espanso a comprendere sonorità dell’area celtica e composizioni proprie. Il nucleo fondatore della formazione, evoluta nel tempo divenendo più semplicemente “Acustica Medievale” (fig.7), era composto dai fratelli Paolo (voce, fiati, chitarra) e Guido Benigni (chitarra, tastiere, voci) e da Massimo Santantonio (chitarre, mandolino) stratigrafo del carbonatico, già rilevatore del Servizio Geologico d’Italia e oggi professore presso l’Università Sapienza.
E’ del 1982 l’incisione di un LP (era ancora l’epoca del
vinile), l’omonimo Acustica Medievale,
etichetta Folkstudio; della formazione che incise quell’album del 1982 fece
parte altresì, al basso e alle percussioni, Fabrizio Cecca (fig. 8), altro
paleontologo/stratigrafo, oltre che contrabbassista/compositore. Anche lui
faceva parte della covata di appassionati che Giovanni “Jack” Pallini plasmò
sulla dorsale umbro marchigiana, facendone degli specialisti di ammoniti. Cecca
si laureò presso La Sapienza nel 1981/82, con una tesi sulle associazioni del
Giurassico superiore dell'Appennino Umbro-Marchigiano; successivamente conseguì
il Dottorato di Ricerca presso l'Università di Lione sotto la guida di Raymond
Enay, lavorando nel Bacino Voconziano. Nel periodo fine anni '80 - metà anni
'90 fu geologo presso il Servizio Geologico d'Italia e ricercatore presso
l'Università di Urbino; si trasferì poi definitivamente in Francia,
inizialmente all'Università di Marsiglia e infine a Parigi, divenendo
professore di paleontologia all'Université Pierre et Marie Curie. Dal punto di
vista musicale ebbe una lunga carriera, iniziata nel 1976 in Italia e
proseguita in Francia in parallelo a quella scientifica. Spaziò in vari campi:
oltre all’esperienza con la visionaria Folk Magic Band negli anni Settanta e
quella con gli Acustica medievale, fu apprezzato jazzista, e collaborò con vari
cantautori italiani, quali Francesco De Gregori, Mimmo Locasciulli e Sergio
Caputo.
Fig. 8 - Fabrizio Cecca (1957-2014)
Nel 1991 Acustica Medievale si sciolse,
per ritrovarsi vent’anni dopo, nel 2011, in una “release 2.0”. In questo lasso
di tempo Massimo Santantonio si è dedicato, oltre che alla ricerca geologica,
ad un’altra formazione, il “Massimo Santantonio Quintet” nato negli anni ’90,
che ha prodotto tre album (“Massimo Santantonio Quintet – featuring Antonello
Salis”, 1995; “Script” 2001; “Rome to Yerevan, and back” 2016).
Passiamo poi ad un altro geologo
artista, Carlo Doglioni, docente di
geologia strutturale presso le Università di Ferrara, Potenza e Sapienza di
Roma, già presidente SGI e attuale Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Le cose
appena dette su Carlo sono arcinote, ma non tutti sanno invece che egli è un
eccellente pianista, allievo di Franco D'Andrea, membro del famoso gruppo di
proto-fusion italiano degli anni '70 "Perigeo".
Ancora un’altra storia musicale. Francesco Dramis, illustre
geomorfologo, è stato professore alle Università di Camerino (ancora Camerino!
fa un buon effetto l’aria marchigiana…) e Roma TRE. In gioventù, oltre a
percuotere le rocce con il martello, Franco faceva altrettanto con le bacchette
sulla pelle tesa dei tamburi. Alla fine degli anni ’50, da studente al Liceo
Classico “Giulio Cesare” di Roma, entrò a far parte di un quartetto jazz che si
dedicava anche alla musica leggera. Negli anni degli studi universitari l’attività
di batterista cominciò a diventare remunerativa, con i tè danzanti pomeridiani
e serate nei night romani dell’epoca. In particolare si cita il noto locale
“Grotte del Piccione” in via della Vite (fig.9),
frequentato dalle star del cinema italiano e internazionale negli anni della
Dolce Vita e della ‘Hollywood sul Tevere’; vi si esibivano all’epoca Carlo
Loffredo, Fred Buscaglione, Marino Barreto jr, Bruno Martino, per citarne
alcuni. Nuove collaborazioni iniziarono per Dramis con artisti quali Memmo Foresi,
Carlo Loffredo, Johnny Cabildo (al secolo Giorgio Sabelli) e Lucio Battisti;
con quest’ultimo Franco fece parte di un complesso che faceva serate nei locali
romani e in varie località turistiche durante l’estate. Il repertorio spaziava
da jazz e dixieland ai generi latinoamericani. Dopo la laurea nel 1963, ancora
qualche esibizione di Franco con formazioni jazz al già ricordato Folkstudio.
Va infine detto che anche lui, in qualità di musicista, ha avuto una
apparizione cinematografica, nel film “Primo
applauso” (1957) con protagonista Claudio Villa, soggetto e sceneggiatura
di Vincenzo Talarico.
Fig. 9 - Francesco Dramis alla batteria, on stage
alle Grotte del Piccione (Roma), negli anni Sessanta.
E infine ancora un camerte musicista: è Gilberto Pambianchi, allievo di Dramis e professore di geomorfologia all’università marchigiana, tuttora chitarra e voce della formazione Old Boys.
“Compressiva
o distensiva,
trascorrente,
morta o attiva;
l’A-A a
quanto pare
è una
faglia tuttofare
stira,
struscia,
strucca
o scorre
proprio
come a ognuno occorre”.
Fig. 10 - Edoardo Semenza (1927-2002)
Si chiude qui- per ora - la rassegna in
tre atti degli Estrosi Geoitaliani, che ci hanno fatto e ci fanno ancora
divertire. Di questo la comunità geologica italiana deve essere immensamente
grata a tutti loro.
Ringraziamenti
Questa narrazione si basa su
informazioni carpite, suggerite o caparbiamente cercate, che giunte una dopo
l’altra hanno portato il testo ad esser più volte riveduto e aggiornato.
L’auspicio è che questa sia da stimolo per analoghe storie di ‘vite parallele’,
con cui altri colleghi e colleghe vorranno proseguire il filone. Un particolare
ringraziamento per la documentazione fotografica e per le preziose informazioni
a: Silvano Agostini, Ernesto Centamore, Domenico Cosentino, Giorgio Vittorio
Dal Piaz, Gildo Di Marco, Francesco Dramis, Francesca e Fabio Funiciello,
Pierfrancesco Grangié, Gianni Lombardi, Giacomo Mazzocchi, Umberto Nicosia,
Antonio Praturlon, Massimo Santantonio, Umberto Risi.
Didascalie figure
Fig. 1 Sul set di Ben Hur: a sinistra Ernesto
Centamore, a destra Biagio Camponeschi e sopra di loro Minerba, un loro
compagno di studi.
Fig. 2 Un adolescente Antonio Praturlon (primo da
sinistra, con gli occhiali in mano) nella locandina del film “Miss Italia” del
1950.
Fig. 3 Praturlon in servizio come concierge all'Hotel
Royal di Courmayeur (Vallèe d’Aoste), con Silvana Pampanini nell’estate 1965 o
1966.
Fig. 4 Gildo Di Marco in Brancaleone alle Crociate
(1970), al centro in groppa al suo ‘destriero’.
Fig. 5 Nei primi anni '70, alla partenza della maratona
di Roma: da sinistra lo studente Renato Aquilani divenuto poi Geologo
dell'AGIP, Gianni Lombardi, Renato Funiciello e uno studente di biologia.
Fig. 6 Maratona di Capodanno di Roma organizzata dal CUS
(1977): da sinistra Sandra Conti, Umberto Nicosia, Gianni Lombardi, Giovanni
Pallini e Renato Funiciello.
Fig. 7 Acustica medievale in concerto (a destra Massimo
Santantonio al mandolino)
Fig. 8 Fabrizio Cecca (1957-2014)
Fig. 9 Francesco Dramis alla batteria, on stage
alle Grotte del Piccione (Roma), negli anni Sessanta.
Fig. 10 Edoardo Semenza (1927-2002)
di Anna Rosa Scalise
Il Massiccio dell’Aspromonte è una struttura impervia a picco
sul mare che ha sede nell’estrema propaggine meridionale della Calabria; per la
sua posizione geografica e per le sue caratteristiche geomorfologiche dalla sua
vetta più alta (Montalto, 1956 m s.l.m.) è possibile osservare paesaggi esclusivi che
dal Mar Tirreno si estendono fino allo stretto di Messina, alle isole Eolie e al Mar
Ionio. I versanti acclivi coperti da una lussureggiante vegetazione sono spesso
solcati da profonde incisioni sede di corsi d’acqua conosciuti come “fiumare”; queste orlano a raggiera l’intero Massiccio che dopo ripetute cascate sfociano
in ampie piane alluvionali costiere.
L’Aspromonte è un Massiccio che fa parte di un importante struttura
geologica nota in letteratura scientifica come Orogene Calabro-Peloritano,
un tratto di catena montuosa e arcuata di rocce metamorfiche e magmatiche compresa
tra i monti del Pollino a Nord e la linea di Longi-Taormina a Sud. Questa struttura
geomorfologica è così speciale da essere considerata un Geoparco, riconosciuto di
recente a livello internazionale come Patrimonio dell’Unesco; si tratta di un territorio che
possiede un patrimonio geologico particolare da proteggere e valorizzare.
Le sue caratteristiche forme severe e imponenti sono uniche
in tutto il Mediterraneo e sono il risultato di una storia geologica ed
un’evoluzione geodinamica derivante dall’interazione della placca continentale
europea con quella africana, iniziata milioni di anni fa è tuttora in corso. L’avvenuta
collisione delle placche durante l’orogenesi alpina ha determinato l’ossatura di
massicci di rocce cristalline osservabili in Sardegna, Corsica e in parte nelle
Alpi. Queste rocce sono molto diverse per età e composizione da quelle sequenze
sedimentarie che affiorano lungo l’Appennino oltre il confine calabro-lucano.
Nel settore orientale del Massiccio dell’Aspromonte nei
territori dei comuni di San Luca e Careri si estende una grande valle aperta
verso il mar Jonio denominata “Valle delle Grandi Pietre”, uno degli ambienti più
significati del Parco Nazionale dell’Aspromonte, dove emergono da una lussureggiante vegetazione di alberi di leccio,
di castagni e di querce, grosse pietre ciclopiche, di colore grigio bruno, modellate
dall’azione meteorica ed eolica in gigantesche forme bizzarre, vere opere
d’arte, depositarie di leggende e storie; molte di queste superano cento metri
di altezza e sono ubicate prevalentemente lungo il margine settentrionale della
“Fiumara Buonamico”.
La valle delle Grandi Pietre
La maggior parte di
questi monoliti sono il frutto di un’attività erosiva differenziale della
cosiddetta “Formazione di Stilo - Capo d’Orlando”, riportata nel Foglio geologico
alla scala 1:50.000 n. 603 Bovalino, come una successione terrigena
dell’Oligocene sup. - Miocene inf., un’alternanza di sedimenti silico-clastici
depositati lungo canyon profondi di antichi fondali marini in erosione,
costituiti da conglomerati, argille con intercalazioni siltose e spessi strati
arenacei. Questi sedimenti clastici costituiscono una successione a carattere
torbiditico che prendono
il nome di “flysch”. Si tratta di rocce sedimentarie terrigene che fanno parte del
“flysch di Capo d’Orlando”, una successione trasgressiva su calcari della
formazione di Stilo quando ancora la Calabria era attaccata alla Sardegna.
Questi depositi,
infatti, sono stati prodotti dallo smantellamento di un antico orogene
originariamente collocato in Sardegna prima della separazione del blocco
Corsica - Sardegna - Calabria da quello della Spagna - Francia. La separazione dei
blocchi è avvenuta con i movimenti lenti delle placche che hanno generato
l’apertura del Mar Ligure e poi quella del Mar Tirreno separando
definitivamente la Calabria dalla microplacca Sardo-Corsa che è migrata verso
est fino a raggiungere la posizione attuale portandosi in sommità la “Formazione
di Stilo - Capo D’Orlando”.
(da Cirrincione et alii, 2016)
Tra i monoliti più
spettacolari sono da annoverare la “Pietra Cappa”, la “Pietra Longa” (la più aguzza di tutti), la “Pietra di Febo”, la “Pietra Castello” (che
prende il nome oltre che dalla posizione tipica di un’antica fortificazione
anche dai resti di un castello e della chiesa di San Giorgio di epoca
bizantina), la “Pietra Tonda”, la “Pietra Stranghiolo”, la “Pietra Salva” e
le “Rocche di San Pietro” (con l’asceterio).
Le grandi pietre
La “Pietra Cappa” sorge al di sopra del paese
di Natile Vecchio a quota 829 metri; si tratta di un gigantesco monolite imponente e
misterioso, un “panettone geologico” così chiamato per la sua forma, conosciuto
nella zona con il nome di “a Petra du Tamburinaru”, che si distingue per il suo profilo
a cupola dalle guglie aguzze ed aspre delle cime metamorfiche. Da un punto di
vista geomorfologico è un “butte”, un rilievo che occupa una superficie di 4
ettari caratterizzato da pareti ripide e sommità piana, il diametro della
superficie sommitale è di circa 70 metri, le pareti superano 140 metri di
altezza. Per le sue dimensioni rappresenta il monolite più grande di Europa ed è
la roccia simbolo sia della “Valle delle Grandi Pietre” che del Parco
Nazionale dell’Aspromonte.
Pietra Cappa
Per la sua peculiarità geologica è stato riconosciuto
come un “Geosito” di rilevanza internazionale dell'“Aspromonte Geopark Unesco”, costituito da conglomerati, ovvero sabbia e grossi ciottoli arrotondati
e cementati tra loro, di natura granitica e metamorfica, di dimensioni
variabili da pochi centimetri a qualche metro. La similitudine petrografica e
geochimica di questi frammenti di rocce granitiche con gli ammassi rocciosi
attualmente affioranti in Sardegna è un’ulteriore conferma del fatto che il
segmento di Orogene Calabro-Peloritano era, almeno fino al Miocene
superiore prima che incominciasse ad aprirsi il bacino tirrenico, fuso con il
blocco sardo-corso.
Pietra Cappa
L’azione erosiva degli agenti atmosferici avvenuta nel
corso del tempo è tuttora in corso e continua a modellare le forme della “Pietra
Cappa” tra le sue caratteristiche una galleria percorribile ricavata dalla
posizione inclinata di un costone, attraversa un fianco del monolite
Il territorio della “Vallata delle Grandi Pietre” abbonda
di luoghi ricchi di legende suggestive sia di natura religiosa che esoterica
con testimonianze di antichi insediamenti umani e importanti reperti che vari
studiosi hanno segnalato essere di un periodo che va dalla Preistoria all’età
Bizantina.
Di particolare fascino le “Rocche di San Pietro”, a forma di largo cono, poste sul versante opposto
del torrente Menica di fronte alla “Pietra Cappa”. La cima delle “Rocche
di San Pietro” è scavata a forma di caverna su due piani intercomunicanti e con
molte aperture. Nell’antichità, in un
periodo compreso tra il VII e il IX secolo d.C., furono
utilizzate come riparo da religiosi ed eremiti di rito greco e da monaci
basiliani provenienti dall’oriente. Essi fuggivano dalle persecuzioni
dell’Imperatore bizantino Leone III, detto Isaurico, che nel 726 per consolidare
l’autorità imperiale emanò un decreto che ordinava la distruzione delle immagini
sacre e delle icone in tutte le province dell’Impero. Questi monaci alla ricerca di
luoghi mistici ed evocativi dove poter mettere in pratica la contemplazione, la
preghiera, la solitudine e il lavoro che erano i punti cardine della Regola di
San Basilio Magno, giunsero fino in Italia meridionale. In Calabria trovarono
ricovero negli ambienti di “Pietra Cappa”, in questi luoghi, impervi, solitari
e ricoperti di boschi, requisiti che molti secoli fa furono conformi alle
esigenze della loro vita di asceti eremiti.
Le rocche di San Pietro
Altri “Geositi” di
rilevanza internazionale, si rinvengono nella area meridionale dell’Aspromonte,
riconosciuti come la “Rocca e le Caldaie del Drago” e le “Dolomiti di
Canolo” e al margine settentrionale il “Monte Tre Pizzi” e le “Rocche
degli “Smaliditti”.
Per approfondire:
Cirrincione R., Fazio E., Fiannacca P., Ortolano G., Pezzino A., Punturo R., Romano V., Sacco V. (2013) - The Alpine evolution of the Aspromonte Massif: contraints for geodynamic reconstruction of the Calabria-Peloritani Orogen. Geological Field Trips, Vol. 5, No.1.1, 73 pp.
Cirrincione R., Fazio E., Fiannacca P., Ortolano G., Pezzino A., Punturo R. (2016) - Guida Geologica dell’Aspromonte. Aspromonte Parco Nazionale - Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Laruffa editore.
Servizio Geologico d’Italia - ISPRA (2015) - Foglio 603 Bovalino, Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000.
Servizio Geologico d’Italia - ISPRA (2016) - Note illustrative del Foglio 603 Bovalino, Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000.
La Società Geologica Italiana (SGI) e la Società Italiana di Mineralogia e Petrologia (SIMP) vi invitano a partecipare al Congresso congiunto, dal titolo Geosciences for a sustainable future, che si terrà a Torino dal 19 al 21 settembre 2022.
Il Congresso sarà organizzato in tre giorni di sessioni scientifiche sulle principali tematiche delle Geoscienze; includerà conferenze plenarie di studiosi di rilievo internazionale, tavole rotonde, workshops e forum su argomenti di rilevante impatto geologico-sociale e su grandi temi di interesse pubblico.
Nell'ambito del Panel "Outreach and Education" è stata proposta la sessione P40. Geology is coming home. A renewed interest in Italian geoscientific tradition.
Conveners: Alessio Argentieri [Città metropolitana di Roma Capitale], Marco Pantaloni [ISPRA, Roma], Pietro Mosca [CNR Torino], Luca Barale [CNR Torino]
email: storiageoscienze@socgeol.it
“Geology has been an Italian science. In his “Principles of Geology” (proem to 1st edition, 1830) Sir Charles Lyell paid homage to the forerunners of Earth sciences in our Country. Italian primacy in the early stages of development of geological disciplines, between 16th and 18th century, was in fact strongly admired by the founder of modern geology. The birth of the term “Giologia”, coined by to Ulisse Aldrovandi in Bologna in 1603, has been celebrated on the occasion of its 400th anniversary. This recurrence initiated a renewal of interest in Italian geoscientific tradition, on the grounds of pioneer studies of Bruno Accordi and Nicoletta Morello, from the geological and epistemological points of view respectively. The session is aimed to promote interdisciplinary contributions on Italian Earth sciences and to stimulate the interaction between the scientific and historical approach. Promoting public awareness and understanding the importance of Earth sciences is in fact a crucial issue for Italy, a Country constantly facing the consequences of natural hazards. Celebrating ten years of intense activity of the History of geosciences Section, established in 2012 by the Italian Geological Society, we would thus venture to say that “Geology is coming home!”.
di Anna Rosa
Scalise
In occasione della ricorrenza da cinque anni della scomparsa di Nicola Zattini ho il piacere di ricordare la sua figura umana, l’intensa attività tecnico-scientifica, le condizioni e il periodo storico del Servizio Geologico d’Italia in cui egli svolse il suo lavoro.
Nel 1960
iniziò una nuova era per la geologia italiana; fu approvata la legge “Sullo”
(dal nome del parlamentare proponente) che autorizzò uno stanziamento
straordinario di fondi per completare la prima edizione di quella cartografia
geologica iniziata quasi cento anni prima, e pubblicare una seconda edizione,
aggiornata e moderna di quasi la metà di tutto il territorio italiano.
All’entrata in vigore della legge fu programmato quindi l’aggiornamento ed il
completamento di 140 fogli da realizzare entro il 30 giugno del 1970, termine
fissato dalla norma.
I “favolosi”
anni ’60 rappresentarono un periodo di straordinaria rilevanza e di grande
impegno per il Servizio Geologico d’Italia che fu designato Organo Cartografico
dello Stato, e subito dopo iniziarono i lavori per la redazione della Carta
Geologica d’Italia alla scala 1: 100.000 con la collaborazione delle
Università, gli Enti pubblici e privati e le regioni Autonome con il
coordinamento del Comitato Geologico presieduto allora da Ardito Desio.
In questo
contesto, il geologo Nicola Zattini, neo assunto, fu subito impiegato al rilevamento
geologico di terreno delle aree dei Fogli alla scala 1:100.000 n.106
“Firenze” prima e 130 “Orvieto” poi, insieme al collega Lamberto Pannuzi,
l’amico fraterno con il quale condivise ancora prima l’esperienza per conto
dell’Enel e poi presso la GEMINA (Geomineraria Nazionale) sulla ricerca della
lignite in Umbria, in quei luoghi a lui tanto cari dove conobbe Luciana,
diventata poi sua moglie e la madre dei suoi tre figli.
In quegli anni, continuò con passione e impegno profuso alle attività di studio e ricerca delle tematiche geologiche dell’Italia centro-meridionale che contribuirono alla crescita delle conoscenze scientifiche dei Fogli: 138 “Terni, 143 “Bracciano”, 144” Palombara Sabina”, 153 “Agnone”, 161 “Isernia”, 162 “Campobasso”, 173 “Benevento”, 175“Cerignola”, e alla redazione delle note illustrative dei Fogli Orvieto, Perugia, Città di Castello, Terni, Palombara Sabina, Campobasso, Benevento.
La figlia di
Zattini, Giuseppina, racconta: “quando papà rilevava da solo nelle zone di
montagna, di inverno indossava un passamontagna, destando sospetti nei pastori
che incontrava. Una volta fu aggredito dai cani e fu costretto ad arrampicarsi
su un albero, per potersi arrampicare su un albero, conoscendo mio padre,
doveva aver preso una gran paura, rimase sull’albero fino all’arrivo del
pastore al quale ancora una volta dovette spiegargli che lui era lì per lavoro
e che non aveva alcuna intenzione di rubare”.
“[…] ricordo
ancora di quegli anni, quando il collega di papà, Nestore Malferrari, veniva a
prenderlo in macchina, caricavano i bagagli e i viveri e partivano per una gita
di rilevamento, papà era andato a fare una gita e la gita era un lavoro, questa
cosa mi affascinava tantissimo. Papà aveva una passione smisurata per il suo
lavoro egli diceva spesso che il rilevamento te lo devi sentire, è qualcosa che
hai dentro, non si impara sui libri, devi avere l’occhio e l’intuito, non è una
cosa semplice. L’entusiasmo per il suo lavoro lo portava spesso a voler fare
tante altre cose ma si era sempre sacrificato per la sua famiglia, fra le tante
aveva rinunciato alla carriera universitaria presso la facoltà di Scienze
Geologiche di Cagliari, proposta dal prof. Carmelo Maxia del quale era stato
l’allievo preferito”.
”[…] da
bambina papà mi portava spesso in ufficio nella sede di Santa Susanna, ricordo
ancora la nebbia di fumo che aleggiava nella sua stanza, l’area era
irrespirabile e io mi chiedevo come facessero le persone a lavorare con lui e a
respirare quell’odore insopportabile, lo stesso si percepiva poi sulle carte
geologiche che portava a casa che ne rimanevano impregnate per parecchio
tempo”. […] Ricordo ancora delle accese discussioni che faceva con i colleghi
su argomenti di geologia, egli ascoltava prima tutti e poi e sulla base della
sua esperienza cercava di essere persuasivo con argomenti di logica e di
ragionamento. […] di altri colleghi che andavano a rilevare con papà ricordo
Lamberto Pannuzi, Carlo Bergomi (per noi zio Carletto), Bruno Compagnoni ed
Ernesto Centamore, per me era sempre una festa quando al loro ritorno dalla
missione rimanevano a pranzo a casa nostra e io che ero affascinata dai loro
discorsi gli facevo continue domande”.
Le attività
previste dalla legge “Sullo” nel 1968 furono completate con il rilevamento e la
stampa di buona parte dei Fogli, negli anni successivi i lavori proseguirono
con il rilevamento degli ultimi tre e con l’elaborazione, il disegno e la
preparazione alla stampa dei rimanenti. Il Comitato Geologico durante gli otto
anni trascorsi svolse un’intensa attività assolvendo ai compiti assegnati dalla
legge e fornendo il più fattivo e valido contributo alla soluzione dei problemi
scientifici.
Nel 1971
iniziarono le attività degli studi di base per la preparazione delle norme
generali, scientifiche e tecniche per il rilevamento della Carta Geologica
d’Italia alla scala 1:50.000, con la finalizzazione della stessa verso
problemi prevalentemente applicativi riguardanti la sicurezza del territorio in
relazione alle vari forme di rischio geologico e di rappresentazione
cartografica. Questa nuova attività prese l’avvio con le modeste dotazioni del
bilancio ordinario e con i contributi, offerti dal CNR, e dalla regione
Trentino- Alto Adige ma con un organico ridotto e con scarsi mezzi furono
rilevati e stampati solo alcuni fogli indicati come “sperimentali”. Nell’ambito
di questa nuova attività il Comitato Geologico, presieduto dal prof. A.
Jacobacci che era anche il Direttore del Servizio, nel 1974 nominò un gruppo di
lavoro composto da C.F. Boni, M. Govi, C. Merlo, L. Pannuzi, A. Valdinucci, N. Zattini
che venne integrato poi da P. Bono e coordinato dallo stesso Jacobacci per la
redazione delle “Norme per la cartografia idrogeologica” e del “Rischio
geologico”, pubblicate successivamente nel Quad.n.1 del Servizio Geologico.
Giuseppina
ricorda ancora che: “a seguito del terremoto dell’Irpinia dovette fare la
valigia in fretta e furia perché vennero a prenderlo con l’Elicottero nello
stadio di Palestrina, nella cittadina dove allora abitavamo. […] Una delle
tante volte che operava in una delle aree terremotate” - racconta Giuseppina -
“si era stufato di dormire in tenda e decise dormire in albergo, da quel
momento fortunatamente le scosse cessarono e per questo fu soprannominato
anti-terremoto fu per via di questo soprannome che gli abitanti di quelle zone
per recuperare gli oggetti rimasti incustoditi nelle loro case disastrate si
facevano accompagnare da lui”.
“[…] Tra
tutte le sue consulenze ricordo quella che fece per conto della società
Ferrarelle, fu chiamato perché la falda produttiva si stava esaurendo e lui
individuò l’area dove poter effettuare ulteriori captazioni per incrementare la
disponibilità idrica”.
Ebbi la
fortuna di conoscere e apprezzare la sua preparazione e le sue competenze
professionali sin dai primi anni della mia attività lavorativa presso il
Servizio Geologico, nell’ambito del progetto per la realizzazione della “Carta
della Vulnerabilità per Franosità”, elaborata alla scala 1:500.000, secondo le
norme del “Rischio geologico”, pubblicata sul vol. XXXVI delle Memorie
Descrittive della Carta Geologica d’Italia sotto la direzione scientifica di N.
Zattini. Fu un progetto realizzato in ossequio alla delibera del C.I.P.E. del
31 ottobre 1985, quale documentazione tecnico-scientifica sui rischi connessi
agli eventi naturali che ricorrono sul territorio nazionale. Tale lavoro fu
parte integrante della relazione finale del Comitato per lo studio dei Rischi
Catastrofali e ufficialmente presentato al Ministero dell’Industria il 12
febbraio 1987.
Nel 1984, il
prof. A. Jacobacci istituì un gruppo di lavoro di cui ero anch’io componente,
coordinato da Nicola Zattini, con l’obbiettivo di sperimentare le “Norme sulla
cartografia idrogeologica” nel territorio del F. 389 “Anagni” alla scala
1:50.000. e realizzare il rispettivo foglio idrogeologico successivamente
pubblicato. Avviati i lavori di rilevamento di campagna durante le prime uscite
era interessante seguire Zattini come sulla base della sua lunga esperienza
cercava sempre di impostare un’analisi critica e ragionata dei dati, prendeva i
suoi appunti con una matita molto piccola ed era sempre super preciso e
puntuale.
A seguito
dell’approvazione della Legge della difesa del suolo del 1989 fu istituito
presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Dipartimento Nazionale per i
Servizi Tecnici di cui il Servizio Geologico era parte integrante insieme al
Servizio Sismico, al Servizio Dighe e al Servizio Idrografico e Mareografico.
In quel
periodo le tante attività dell’Ufficio di Idrogeologia coordinate da Zattini
proseguirono con un grosso contributo al controllo, al monitoraggio delle
discariche e alla scelta dei siti per l’attuazione di nuovi impianti svolte in
collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, il Ministero dell’Ambiente e
l’Enea che insieme al Servizio Geologico costituirono il Gruppo di Diagnostica
nominato nell’ambito delle Emergenze ambientali dei Rifiuti solidi urbani della
Regione Campania e di quella socio-economico e ambientale della Regione Puglia.
Dopo il suo
collocamento a riposo, avvenuto per raggiunti limiti di età nel 1995, rimanemmo
sempre in contatto; era nata una profonda amicizia e una stima reciproca, nelle
lunghe telefonate mi parlava spesso dei suoi figli e dei suoi adorati nipoti.
La sua passione per la geologia era rimasta sempre quella di una volta e anche
se era andato in pensione si interessava sempre delle problematiche geologiche
del territorio di Palestrina e delle zone limitrofe, era diventato per gli
abitanti di quel territorio un punto di riferimento e di consultazione, molto
spesso veniva coinvolto per dare le indicazioni necessarie per l’esecuzione dei
pozzi per acqua, per seguire i sondaggi e per studiare i terreni attraversati
dalle perforazioni. Aveva intrapreso anche con interesse un rilevamento di
dettaglio di quelle aree per soddisfare alcuni dubbi emersi dalle problematiche
geologiche.
Nicola Zattini
ha rappresentato in vario modo e in tempi diversi, una componente importante,
umana e scientifica, del mio percorso lavorativo presso il Servizio Geologico,
della nostra vita di geologi lo abbiamo avuto come maestro e come collega,
riconoscendone e apprezzandone le competenze professionali assieme alle qualità
personali, con lui abbiamo vissuto lunghi anni di vicissitudini liete e tristi
sia nella difficoltà della ricerca sia nelle tante piccole e simpatiche
avventure che fanno parte del periodo lavorativo.
Egli è stato
l’esempio del lavoro di un geologo di Stato di tanto tempo fa che ha operato
con competenza e serietà in condizioni diverse da quelle attuali, con pochi
mezzi e con grande spirito di sacrificio. Si è sempre distinto per la sua
onestà intellettuale e per il suo carattere nel difendere le conclusioni
tecniche scaturite da sopralluoghi, dagli studi e dalle ricerche.
Sono stata
fortunata a lavorare al suo fianco e ad apprendere dalla sua esperienza, egli
oltre ad essere un bravo geologo aveva delle qualità umane non comuni era una
persona affabile, saggia e molto umile ma anche di carattere. Egli è stato per
me un maestro e un amico affettuoso.
Per saperne di più:
Jacobacci A.
(1980) Relazione sulle attività del Servizio Geologico d’Italia nel 1979. Boll.
Serv. Geol. d’It., vol. C.
Jacobacci A.,
Motteran G. Prat E. Scalise A. R., Vittori P., Zattini N. (1987) - Carta della
Vulnerabilità per franosità. Mem. Descr. Carta Geol. d’It., vol.XXVI. Atti
delle giornate di studio: Ricerche Geologiche corredate all’ambiente Mem.
Descr. Carta Geol. d’It. vol. XLII.
Mari G.M.,
Motteran G., Scalise A.R., Terribili D., Zattini N. (1995) - Carta
idrogeologica d’Italia-1: 50.000. Guida al rilevamento e alla rappresentazione.
Serv. Geol. It., Quad. III Serie, vol.5.
Ministero
dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato - Dir. Gen. Miniere (1968) - Carta
Geologica d’Italia. Relazione al parlamento sullo stato dei lavori al 30 giugno
1968.
Motteran.G., Scalise A.R., Terribili D., Ventura G., Zattini N. (1993) - Carta idrogeologica d’Italia in scala 1:50.000, Foglio 389 Anagni, Serv. Geol. It.
Motteran G.,
Scalise A.R., Terribili D., Zattini N. (1994) - Contributo alla conoscenza
dell’Idrogeologia lungo il limite tra il rilievo carbonatico dei monti Ernici e
i sedimenti lacustri della piana del Tufano (Frosinone). Boll. Serv. Geol. It.,
vol. CXIII.