di Rodolfo Carosi
Dipartimento di
Scienze della Terra, Università di Torino
L’evoluzione delle conoscenze a volte segue vie impreviste
guidate da concatenazioni di eventi apparentemente casuali in periodi nei quali
“i tempi sono maturi” affinché si verifichi un salto in avanti, grande o
piccolo che sia, nelle conoscenze. Questo è anche il caso delle conoscenze
geologiche del Paleozoico sardo coinvolto nella catena ercinica, fino alla
metà-fine degli anni settanta ritenuta per lo più una catena orogenica priva di
sovrascorrimenti e di falde di ricoprimento con abbondanti graniti e metamorfismo
di alta temperatura, differentemente da quanto avveniva nelle catene di tipo
alpino (ZWARTH, 1968).
Nelle note illustrative del Foglio 549 – Muravera in scala
1:50.000 (ISPRA, 2001) si legge: “Alla fine degli anni ’70 due
gruppi di ricercatori, uno italiano (CARMIGNANI & PERTUSATI, 1977;
CARMIGNANI et al., 1978a, 1979) e uno francese (NAUD & TEMPIER, 1977; NAUD, 1979a, 1979b),
lavorando indipendentemente, documentarono nella Sardegna centro-orientale
importanti raccorciamenti ercinici, con pieghe rovesciate chilometriche e
raddoppi tettonici di importanza regionale. L’evidenza di una pila di falde
vergenti a SW e l’età ercinica del metamorfismo di medio e alto grado della Sardegna
NE (DI SIMPLICIO et al., 1974a, 1974b; DEL MORO et al., 1975; FERRARA et al.,
1978), precedentemente spesso considerato caledoniano o precambriano, portarono
rapidamente all’ipotesi di CARMIGNANI et al. (1979) secondo cui la struttura
del basamento sardo derivava da una collisione continentale”.
Ma che cosa ha fatto sì che due geologi strutturali italiani
(che fino a quel momento avevano lavorato essenzialmente in Appennino
settentrionale) arrivassero per primi con un lavoro esaustivo (CARMIGNANI
& PERTUSATI, 1977) a identificare la corretta natura della
tettonica del basamento ercinico in Sardegna? Gli eventi sono piuttosto
singolari e non se ne trova traccia in nessun documento ufficiale, ma la storia,
nota a moltissimi geologi che lavorano, o hanno lavorato in Sardegna, vale la
pena di essere raccontata e con essa il ruolo primario che ha avuto in tutto
questo la faglia di Villasalto (CA). Le note mineralizzazioni ad antimonio,
tungsteno e solfuri sono infatti ospitate nella cataclasite legata alla faglia
stessa, a spese principalmente degli scisti neri siluriani e dei metacalcari
siluro-devonici. Quindi c’è, e c’è sempre stata, una stretta relazione tra la
miniera di Villasalto e la omonima faglia.
A metà degli anni settanta Giacomo Oggiano, studente di
geologia di Pisa, stava svolgendo la tesi di laurea presso la miniera di
Villasalto, aprì la lettera che il suo relatore era solito inviargli
mensilmente in Sardegna in risposta ai suoi doverosi aggiornamenti periodici.
Con grande sorpresa e sgomento apprese che il Prof. Gabor Dessau, docente di
Giacimenti Minerari dell’ateneo pisano, aveva intenzione di sospendere la sua
tesi per il suo comportamento ritenuto inappropriato nei confronti del
Direttore della miniera di antimonio di Su Suergiu e Martalai a Villasalto, che
lo ospitava presso la foresteria per lo svolgimento della sua tesi di laurea.
La questione era che lo studente aveva contraddetto sia il
geologo della miniera sia il Direttore che credevano fermamente che la faglia
di Villasalto (Villasaltosprung) fosse
una faglia diretta ercinica come già stabilito da TEICHMULLER (1931) che si estendeva per oltre 40 km nella Sardegna
sud-orientale. Giacomo Oggiano, applicando da laureando le moderne tecniche di
analisi strutturale e di rilevamento geologico apprese nel corso dei suoi studi
a Pisa (tra le primissime sedi in Italia negli anni ’70 del 900 a sviluppare
una geologia strutturale di tipo moderno), aveva invece trovato evidenze inequivocabili
che si trattava di una faglia inversa. Da qui la discussione con il geologo
della miniera e il Direttore e le lamentele di quest’ultimo con il Prof. Dessau
che, incalzato dal Direttore, aveva ritenuto opportuno redarguire lo studente indisciplinato
fino a sospenderne la tesi. Giacomo, però, spaventato dal dover iniziare tutto
da capo dopo mesi di lavoro, non si dette per vinto e, convinto della bontà
delle sue osservazioni, chiese aiuto al fratello di un giovane assistente di
Pisa (F. Baldacci) che conosceva bene due giovani geologi strutturali
emergenti, Luigi Carmignani e Pier Carlo Pertusati, allora assistenti alla cattedra
di geologia all’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Pisa, chiamati
in suo soccorso per dirimere la questione. Essi, dopo un primo sopralluogo,
oltre che a confermare la natura di faglia inversa e di accavallamento di
natura regionale tra le Arenarie di S. Vito (cambro-ordoviciane) e gli scisti e
calcari siluro-devonici, formatosi durante la prima fase deformativa sin-metamorfica
e deformato dalle fasi successive intuirono l’importanza e le implicazioni di
tale riconoscimento (CARMIGNANI &
PERTUSATI 1977; CARMIGNANI et al.,
1978a, 1979) e le possibili conseguenze sulla tettonica dell’intera catena
ercinica (Fig. 1).

Fig. 1. Carta geologico-strutturale dei dintorni di Villasalto da CARMIGNANI ET AL., 1978.

Fino a quel momento, infatti, la catena ercinica in Sardegna
era considerata “… priva di ampi
carreggiamenti”, nonostante il lavoro di BOSELLINI E OGNIBEN (1968) che avevano già riconosciuto un
sovrascorrimento ercinico nella zona di Funtana Raminosa, in Sardegna centrale,
tra il Postgotlandiano (ora Unità della Barbagia o interne) e i sottostanti
scisti neri e calcari siluro-devonici (ora parte superiore della successione
dell’Unità di Meana Sardo). E’ da rimarcare che all’epoca le successioni
litostratigrafiche del Paleozoico sardo, specialmente la parte pre-ordoviciana,
erano solo in parte conosciute e i primi lavori di geologia strutturale sugli
indicatori cinematici risalgono solo al 1979 e anni successivi (BERTHÈ et al., 1979). La geologia
strutturale si stava affermando proprio in quegli anni come disciplina a sé stante
a partire dal libro di J.G. Ramsay del 1967 “Folding and fracturing of rocks”
basato sulla meccanica dei mezzi continui. E’ da rimarcare che la rivista Journal of Structural Geology è nata nel
1979.
Il riconoscimento della faglia di Villasalto come
accavallamento regionale ripiegato da fasi deformative successive è stato quindi
il primo passo che ha permesso di reinterpretare la catena varisica sarda in
ottica moderna come overthrust, una
pila di falde alloctone con senso di trasporto vero SW, metamorfismo regionale di
tipo Barroviano progrado da SW verso NE, presenza di una deformazione
polifasica, un avampaese posto a SW e una zona interna o assiale a NE.
Come nella teoria del caos si afferma che un battito di ali
di una farfalla possa causare un uragano a migliaia di km di distanza
analogamente, considerando non solo lo spazio ma anche il tempo, una situazione
locale, l’apertura di una lettera, una tesi sospesa, l’insistenza di uno
studente sicuro delle proprie osservazioni, due geologi strutturali che stavano
sviluppando e applicando tecniche di moderna geologia strutturale in Appennino,
sono stati fattori scatenanti che hanno dato origine ad effetti a cascata e
alla fine ad una vera e propria rivoluzione delle conoscenze del basamento
sardo.
Gli studi interdisciplinari hanno infatti dato vita ad una
nuova e proficua stagione di ricerche strutturali, stratigrafiche,
metamorfiche, magmatologiche e di cartografia geologica che in pochi anni hanno
letteralmente rivoluzionato le conoscenze del basamento ercinico sardo. Tutto
questo lavoro ad opera di ricerche congiunte delle Università di Pisa, Siena e
Cagliari è culminato in una escursione di più giorni sul basamento in occasione
del 71° Congresso della Società Geologica Italiana del 1982 in occasione del
centenario della sua fondazione e con la stesura di un volume guida “Guida alla
geologia del Paleozoico sardo” di oltre 200 pagine contenente numerosi articoli
e carte geologiche originali che offrono un quadro organico di tutta la
geologia paleozoica dell’isola (CARMIGNANI et al., 1982; Fig. 2).
Fig. 2. Copertina della Guida alla Geologia del Basamento
Sardo del 1982.
All’epoca ero uno studente di Geologia a Pisa ed ho avuto la
fortuna di partecipare nell’ambito del corso di Geologia Strutturale
all’istruttiva “escursione di prova” guidata da L. Carmignani, P.C. Pertusati
(Università di Pisa), C. Ghezzo e C. A. Ricci (Università di Siena) e di
percepire la fase pulsante di questa trasformazione in corso, oltre ai primi
racconti di questa avventura scientifica.
Le differenze, piuttosto evidenti della geologia fino al
1975 e del decennio successivo, si possono osservare confrontando la carta
della Sardegna di IACOBACCI et al.
(1975) (Fig. 3), nella quale compaiono solo pochissimi thrust (e tra questi la faglia di Villasalto) e la carta in scala
1:500.000 ad opera di CARMIGNANI et al.
(1987) (Fig. 4) dove sono rappresentate tutte le unità tettoniche attuali. Il
basamento sardo è stato in gran parte cartografato in scala 1:10.000 nel corso
degli anni ’80 anche con il contributo di molte tesi di laurea.
Fig. 3. Schema stratigrafico del Massiccio Sardo-Corso (JACOBACCI ET AL.,1975).
Fig. 4. Modello Strutturale del Basamento Ercinico della
Sardegna (1987).
L’ossatura fondamentale della catena è stata riconosciuta e
delineata proprio in quegli anni.
In seguito si è passati da un modello interamente ensialico
(CARMIGNANI et al., 1979) all’ipotesi
di una sutura oceanica con relitti di eclogiti (CAPPELLI et al., 1992; CARMIGNANI
et al., 1992 1994).
Nel 1992 in occasione di una riunione annuale del Gruppo
Informale di Geologia Strutturale è stata organizzata un‘escursione di una
settimana attraverso tutta l’isola, dalla zona esterna della catena fino alla
zona “assiale” a nord, con la stesura di un esaustivo volume che rimane un
caposaldo nella storia della geologia della Sardegna (Fig. 5).
Fig. 5. Copertina del volume: Struttura della catena ercinica in Sardegna.
Guida all’escursione del 1992.
Le successioni stratigrafiche sono state meglio delineate così
come gli eventi deformativi e metamorfici e tutto il ciclo magmatico (CRUCIANI et al., 2015 con bibliografia)
nonché le relazioni tra metamorfismo e la transpressione Varisica datata a 325-300
Ma nel nord della Sardegna (CAROSI &
PALMERI 2002; DI VINCENZO et al.,
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