venerdì 18 luglio 2014

Geologia e memoria storica nella Lucchesìa: l’eccidio di Fornoli del 18 luglio 1944

di Alessio Argentieri con Fabiana Console

Geoitaliani è onorato di pubblicare - per la prima volta sul web - la carta geologica ”Lucca”di Igino Cocchi del 1873, uno dei quattro fogli inediti in scala 1:50.000 (Lucca, Massa Carrara, Castelnuovo di Garfagnana, Pietrasanta), acquerellati a mano, esibiti e premiati all’Esposizione Universale di Vienna (come si legge in basso a destra su ogni carta). La scala, anomala per quei tempi, altro non è che l’ingrandimento di quella usuale 1:86.400 dello Stato Austriaco del 1833 su cui lavoravano tutti i geologi dell’area toscana in quegli anni.


Cocchi, come è noto, fu uno dei promotori della geologia in Italia, in tutti i modi possibili. Nel 1867 fu infatti lui a portare all’Esposizione di Parigi la prima carta geologica d’Italia (seppur incompleta della parte meridionale del Regno), conscio dell’importanza cruciale di una presenza del giovane Stato unitario a quel consesso: la carta cominciava a colmare così il gap culturale e scientifico rispetto alle maggiori Nazioni europee.

Riservandoci di approfondire in un prossimo post la storia di questo documento, poco conosciuto e non citato nelle ricostruzioni del contributo scientifico di Igino, prendiamo spunto dal Foglio “Lucca” e ne approfittiamo per un’altra delle nostre ormai sempre più frequenti divagazioni da un punto di partenza geologico. Oggi vogliamo ravvivare nella memoria collettiva un evento tragico, che ebbe come teatro gli splendidi scenari della Valle del Serchio rilevati dal nostro illustre Geoitaliano.

Igino Cocchi
(Aulla 1827- Livorno 1913)

mercoledì 16 luglio 2014

La pietra paesina

L'esemplare di
Pietra paesina
appartenente alla
"Collezione Pescetto"
dell'ISPRA
di Marco Pantaloni
 
Cominciamo la descrizione di questa singolare pietra ornamentale con una poesia di Pablo Neruda che, esule a Firenze nel 1951, scrisse:
Macchie arancione … d’ossido
vene verdi sopra la pace calcarea
che la schiuma batte con le sue chiavi
o l’alba con la sua rosa,
son così queste pietre:
nessuno sa se uscirono dal mare o al mare tornano,
qualcosa le sorprese mentre vivevano,
nell’immobilità si spensero
e costruirono una città morta.
Una città senza grida, senza cucine,
un solenne recinto … di purezza,
forme pure cadute
in un disordine senza resurrezioni,
in una moltitudine che perse lo sguardo
in un grigio monastero
condannato alla verità nuda dei suoi dei.
Da un punta di vista litologico, la pietra paesina è un calcare marnoso, derivato dalla litificazione di un fango carbonato ricco in argilla, caratterizzata da un fondo di colore variabile dal giallo al bruno, oppure verde chiaro o grigio. E’ un calcare a grana fine, micritica, laminato, con livelli microfossiliferi.

La pietra paesina è arricchita da mineralizzazioni in ferro e manganese, peculiari di questo tipo di roccia, che producono venature bianche sub-rettilineee di spessore millimetrico (leptoclasi), riempiti da calcite bianca e, talvolta, anche venature brunastre (suture stilolitiche), generalmente più piccole rispetto alle precedenti, riempite di ossidi di ferro. Queste venature si intersecano formando un reticolo che delimita aree sub-rettangolari o trapezoidali che generano il caratteristico aspetto di paesaggio di "case in rovina".
La roccia contiene minerali accessori quali quarzo, magnetite, idrossidi di ferro, minerali argillosi. Esistono differenze chimiche tra diverse porzioni dei letti rocciosi, indice di processi di alterazione di natura atmosferica o legati alla circolazione di acque meteoriche nel sottosuolo.
Contiene inoltre foraminiferi planctonici della famiglia delle Globigerinacee, e l’età attribuita a questa formazione è Eocene - Paleocene; la pietra paesina proviene da diverse aree dell'Appennino settentrionale e centrale, dalla Liguria alla Toscana fino al Lazio. Tra queste, le più note sono la Valle dell'Arno, tra cui anche la città di Firenze, e i Monti della Tolfa. Per questo motivo è soggetta a diverse denominazioni locali: Pietra di Firenze o Mota dell’Arno.
Il litotipo si rinviene spesso in blocchi o ciottoli lungo gli argini fluviali o il litorale marino.
 
Il suo nome deriva dai disegni, derivati proprio dalle mineralizzazioni e dagli ossidi, che simulano curiosi paesaggi: città diroccate, castelli, montagne, vallate, insenature marine.
I disegni sono particolarmente evidenti per il contrasto cromatico dei componenti lito-mineralogici: il bianco-grigiastro del calcare, l’azzurro dell'argilla, il rosso per gli ossidi di ferro, il nero del manganese.
Utilizzato già dagli Etruschi, questo litotipo fu poi una delle prime pietre colorate impiegate dai Romani, sin dal II sec. a.C. (epoca repubblicana). La sua diffusione fu essenzialmente limitata all'Italia centrale (Lazio e Campania). Il maggiore impulso all'utilizzo della pietra paesina si ebbe principalmente ad opera dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, per piani di tavoli intarsiati (XV e XVI secolo) e per basi di dipinti a tema paesaggistico (XVII secolo). L'uso della pietra paesina per tarsie prosegue anche attualmente.
Splendidi esempi vengono illustrati nel sito dei fratelli Gallerini, appassionati estimatori di questa bellissima pietra semipreziosa.

E' conosciutissima a livello mondiale sotto diverse denominazioni: Landscape Stone, Landschaftsmarmor, Florentine Marble, Paésine. Oggi la pietra paesina viene utilizzata anche per la realizzazione di piccole statuine, in genere zoomorfe, a nostro avviso di gusto piuttosto discutibile, che in taluni casi arrivano a ridurre l'eccezionale bellezza di questa pietra unica al mondo.

Per saperne di più:

mercoledì 9 luglio 2014

Il fungo di Piana Crixia


Il fungo di Piana Crixia
di Marco Pantaloni

Parliamo di una nuova spettacolare forma di erosione, che questa volta assume le sembianze di un enorme fungo.
Il fungo di Piana Crixia si trova nella frazione Borgo di questo comune, in provincia di Savona, in destra idrografica del Fiume Bormida di Spigno.
Questo monumento geologico è rappresentato da una enorme piramide di erosione selettiva, che ha operato entro i conglomerati oligocenici della Formazione di Molare, alta complessivamente 15,5 metri.
Si presenta con un grande masso ofiolitico (serpentinite), del peso stimato di circa 500 t, sostenuto da una colonna tronco-conica, costituita da conglomerato poligenico e polimetrico a matrice fine, ben cementato.
È proprio l’elevato grado di cementazione del conglomerato che permette alla colonna, all’apparenza poco coesiva, di sostenere l’enorme peso del blocco ofiolitico.
È evidente che il lento procedere dell’erosione, tuttavia, in un futuro più o meno lontano, porterà al crollo del masso ofiolitico e all’erosione della colonna conglomeratica, ormai priva della copertura.
Delle forme assolutamente analoghe si incontrano in varie località alpine, come le pittoresche e famosissime piramidi di terra create dall'erosione subaerea che, in quelle località, ha modellato depositi morenici o fluvioglaciali.

Immagine tratta da Wikipedia, autore Bozzibozzi

Come avviene in altre località, sia per la sua imponenza che per la sua singolarità , il fungo di Piana Crixia è oggetto di leggende locali; non ultima quella che vuole Napoleone talmente interessato a questo monumento naturale da volerlo trasferire in Francia.
L’area di Piana Crixia ricade nel Parco naturale regionale di Piana Crixia.
Per raggiungere il geosito occorre uscire al casello di Millesimo o a quello di Altare dell'autostrada A6 Torino-Savona; dall’autostrada si prosegue sulla ss. 29 in direzione di Acqui Terme fino a Piana Crixia. A poche decine di metri dalla parrocchiale di Borgo, un sentiero conduce verso i punti di osservazione illustrati da un pannello didattico.


Il pannello didattico nel Parco naturale regionale di Piana Crixia



Per saperne di più:
Parco naturale regionale di Piana Crixia: http://www.parks.it/parco.piana.crixia/pun.php
Video sul fungo di Piana Crixia: https://www.youtube.com/watch?v=9nThU__g6zA

mercoledì 2 luglio 2014

L'elefante di pietra di Campana e il sito dell'Incavallicata


L'elefante di Campana nel sito dell'Incavallicata

di Marco Pantaloni

La fantasia popolare individua spesso delle figure zoomorfe o antropomorfe nelle rocce o nei paesaggi; nella gran parte dei casi nessuno mette in dubbio l’azione dell’attività esogena della natura nella conformazione di queste figure.


Caso diverso è invece quello dell’elefante di Campana e delle rocce del sito dell’Incavallicata.
Il sito di cui parliamo è ubicato in prossimità del paese di Campana, un paese della Presila Cosentina, situato a metà tra il mare e la montagna, a circa 600 metri di altitudine.

L’elemento più interessante, e discusso, di questo sito è un’enorme masso roccioso “scolpito” che prende le sembianze di un grosso elefante. Prossimo ad esso si trova un secondo blocco che l’immaginazione vuole assumere le forme dei piedi di un enorme guerriero seduto.
 

Immagine tratta dal sito web del Comune di Campana (CS)


L’area dove è ubicato questo monumento è chiamata, localmente, Incavallicata; il Comune di Campana ha tutelato l’area costruendo attorno ai blocchi rocciosi un grazioso parco pubblico, in virtù del fatto che le rocce e le grotte circostanti sono diventate, fortunatamente, una meta del turismo culturale.
Tutto questo grazie alla diffusione dell’interesse del sito effettuata dai media: si veda ad esempio una vecchia puntata di Gaia (qui) o dei Turisti per caso (qui). Anche la carta stampata ha dedicato all’argomento diversi articoli, sia sulla stampa locale che nazionale.

Immagine tratta da Google earth