mercoledì 16 dicembre 2015

Delle necessarie relazioni ed armonia fra le Scienze geologiche

di Marco Pantaloni

Da alcuni anni si sviluppano, in diverse sedi, grandi discussioni circa il ruolo delle Scienze geologiche nella società e nel rapporto tra la Geologia, intesa in senso lato, e le discipline ad essa afferenti.
Già nel 1908 Alessandro Portis, eletto quell'anno Presidente della Società Geologica Italiana, nel suo discorso di insediamento pronunciato il 20 settembre in occasione dell’Adunanza generale ordinaria, si soffermò sul ruolo della Geologia, sul suo valore nell'ambito scientifico, sui vantaggi che “arreca a chi la cura,” e sui “danni che lascia avvenire a chi la neglige”.


Alessandro Portis è stato uno di più eminenti geologi del periodo a cavallo tra ‘800 e ‘900.
Nato a Torino nel 1853, si laureò in Scienze naturali e si specializzò in Germania e in Francia. Fu libero docente di Paleontologia a Torino, dove si dedicò con passione allo studio dei Cheloni fossili del Terziario ligure-piemontese. Nel 1886 vinse la cattedra di geologia e mineralogia alla Scuola degli Ingegneri di Roma e due anni più tardi, alla morte di Giuseppe Ponzi, gli successe alla cattedra di Geologia e Paleontologia all'Università di Roma. Qui trascorse 39 anni, fino al 1927, svolgendo, oltre all'attività didattica, ricerche perlopiù di natura paleontologica, producendo una vasta mole di pubblicazioni scientifiche e arricchendo il museo e la biblioteca di reperti fossili e materiale bibliografico.

Portis fu tra i soci fondatori della Società Geologica Italiana, fino a diventarne Presidente, appunto, nel 1908. In quell'occasione pronunciò un magnifico, e quanto mai attuale, discorso di insediamento, poi pubblicato e allegato al Bollettino della Società Geologica (Portis A. (1908) Delle necessarie relazioni ed armonia fra le scienze geologiche. Tip. della Pace, Roma, 20 pp.).



A seguito del discorso dell’ex Presidente (Federico Sacco), dopo un anno di ragionamenti, riflessioni e tormenti (sic), il nostro Portis ritorna a quanto detto da Tibaldi a Siena cinque anni prima e, ben 17 anni indietro, a Terni, da Giovanni Capellini.

Portis ritiene che:
"Essi volessero dire: Fratelli, amici, consoci, Noi siamo troppo isolati, Noi parliamo troppo poco tra noi; noi parliamo troppo poco cogli altri; noi, volendo essere troppo presto geologi, troppo presto ci scordiamo di esser uomini come gli altri; ed è questo il nostro danno. Noi ci isoliamo troppo presto dalla restante umanità alla quale pur vorremmo giovare; usiamo un linguaggio che la restante umanità più non intende. E la restante umanità si allontana da noi e compie il nostro isolamento; e si scorda di noi credendoci i misteriosi sacerdoti di un dio ignoto, in un tempio appartato; alla porta del quale viene talora con intenzione di consultare l’oracolo.

E continua, sfiduciato:
"Onde ne avviene che ancor più gli individui e le masse si sfiduciano di noi cultori di una scienza generale, sublime nell'immensità che essa abbraccia […] e la obliano precisamente in quel punto in cui loro è più necessaria […].


Riporta poi, laconicamente, alcuni esempi, immediatamente successivi, e in aperto contrasto, con gli autorevoli discorsi dei suoi predecessori Sacco e Verri:
“fervono gli studi che portano alla pubblicazione […] di veri e propri trattati di rabdomanzia, di glorificazione della verga divinatoria qual mezzo infallibile, sublime, per la scoperta di celate sorgenti e di miniere ascose.

In contrapposizione ai precedenti, espone poi un suo esempio diretto:
“Poco dopo il 1850, il piccolo Piemonte piglia l’iniziativa di una intrapresa, pel tempo, altamente audace; e lancia l’idea di avvicinarsi alla Francia aprendosi un valico sotterraneo nelle viscere dell’immane Cenisio. Un naturalista piemontese [Angelo Sismonda], cultore oggettivo delle scienze mineralogico-geologiche dichiara che l’impresa è attuabile […] e fa una sezione geognostico-litologica presuntiva del tracciato […] e una notte, volgente il 1871, […] un primo valico di oltre dodici chilometri è aperto alla locomotiva ad abbreviarne il disastroso viaggio da Roma a Parigi, a trionfo della scienza e dello ingegno italiani […].

Il discorso prosegue, avvincente come un romanzo, con citazioni che, a leggerle a distanza di oltre cento anni, sembrano anticipare il futuro. Come quando, in riferimento alla Galleria di Ronco e agli “otto meschini chilometri di perforazione”, ricorda che:
“noi geologi non fummo chiamati che ad errori maturati ed aggravati; e non sul nostro adatto terreno di suggerir, concordi, rimedi; ma sul viscido terreno di periti di parte, in contestazioni giudiziarie che mai avrebbero dovuto sorgere!

Continua il suo discorso, sempre più coinvolgente, riportando esperienze personali relative allo sfruttamento dei calcari di Civitavecchia e alla realizzazione del “Canale delle Puglie”. In merito agli studi intrapresi per la realizzazione di quest’ultima opera, dice:
“parrebbe assai naturale che un corpo scientifico quale è la nostra Società, che costituisce un ente riconosciuto e magari sussidiato dallo Stato, venisse interpellato in proposito”.[…]“A me non consta che il Presidente della Società Geologica Italiana sia mai stato dai Corpi Dirigenti invitato a porre ad argomento di una discussione qualunque in seno alla Società il concetto dirigente, poniamo, il progetto del canale delle Puglie. […] Qualcuno dei nostri più eletti membri, magari specialisti, magari persin troppo specializzati, espresse un timido parere o nel nostro periodico od altrove. Ma era un parere solitario, un consiglio non richiesto e peggio accolto perché non richiesto, una voce isolata sempre, una voce mancante di contraddittorio, una voce destinata a perir negletta, una voce che non si poteva imporre alle masse.

Un mirabile discorso, moderno per il tempo, antesignano di molte posizioni ancora oggi attuali, crudo nella sua analisi e ancora di più nelle sue conclusioni.
”Consoci! Che abbiamo noi fatto, noi Italiani, in tutti questi casi che io vengo di porvi innanzi, scegliendoli solo quali esempi salienti agli occhi di ogni persona dotata di senso comune? Una sola risposta, una sola parola: niente!
 “Niente! È poco, è duro, è incredibile, eppure: ad ogni rotta del Po […], ad una preziosa sorgente termale […], una o più scosse di terremoto […], un bel vulcanino […], …
 Continua, crudamente, ricordando che
“l’umanità, come sempre improvvida e come sempre inavvertita, come prima rimarrà schiacciata sotto una tettoia di mercato sulla quale fu permesso l’accumularsi delle proiettate polveri […], su quel campo che l’illuso enfiteuta dichiarò proprietà sua, senza aver davanti mai il coraggioso Mentore che gli ricordasse che quel campo appartiene invece alla Terra e momentaneamente al vulcano. […] A voi, spiriti di Plinio, di Humboldt, di Waltershausen, di Scrope, di Dechen e di Lasaulx, per chi mai patiste, per chi mai vi sacrificaste?
 “Voi tutti siete ora in grado di dirmi che io Vi ho voluto incitare ad una crociata in favore dell’armonia delle scienze geologiche, una crociata di geologi sodi e convinti, di geologi pensatori, freddi logici-razionalisti; una falange che, armata di argomenti solidi e pur plastici, circuisca ed avvinca, coi Geofisici, i Sismologi gridando loro: venite nel nostro seno; voi siete al par di noi geologi; non potete parlare che adoprando un linguaggio intonato col nostro […]; circuisca questa falange gli Idraulici e gli Idrologi […], rivolgansi le forze morali della nostra falange sui Costruttori di qualsiasi opera […], rivolga la nostra falange il suo appello a quei Vulcanisti troppo idolatri di un singolo vulcano o magari anche dei vulcani tutti […], e simile grida lanci la Falange nostra ai Geognosti, ai Paleontologi, ai Petrografi e Litologi come ai Paleogeografi, ai Geogenisti ed Evoluzionisti come ai Fontanieri e Trivellatori, ai Mineralisti come ai Meteoristi, ai Montanisti come ai Geofisiologi, ai Geofisici come ai Petrogenisti, agli Analisti come ai Geosintetisti, agli Stratigrafi come agli Orogenisti, ai Geopatologi come ai Costruttori, ai Morfogenisti e Geomorfisti come agli Idrologi, ai Tettonisti come ai Geotomi, ai Vulcanisti come agli Uranologi e Cosmologisti comparatori, ai Geodeti come ai Geonomi come ai Geometri, ai Nettunisti come agli Hylologi, ai Metamorfisti come ai Metagenisti, ai Carsicisti e Speleologi come ai Paletnologi, ai Plutonisti come ai Glacialisti ed ai Talassologi, ai Dinamisti come ai Geografi, ai Geochimici come ai Pedologi, ai Positivisti come ai Rivoluzionisti, agli Sperimentalisti come agli Opportunisti, ai Genialisti come ai Logici, ai Teoretici come ai Pratici, agli Induttori come ai Deduttori, a tutti quelli ho ricordati, siano essi Idealisti o Materialisti, a tutti quelli che per mia umana fralezza ho dimenticati;a tutti, a tutti, sia lanciata la stessa grida: “Accostiamo le nostre faci sì che un sol faro ne salga; ma brillante, ma intenso, ma penetrante. Accordiamo i nostri stromenti sì che un solo concerto ne sgorghi; ma potente, ma intonato, ma immenso. Che quello, pur penetrandola, rischiari tutta la Terra; che questo risuoni per essa, in essa e su essa tutta. Tutta la Geologia è scienza di tutta la Terra; procuriamo per parte nostra che essa si diffonda completa per tutta la Terra. Moviamo armati in lotta contro al Silenzio, al Pregiudizio, alla Oscurità, alla Discordia, all'Empirismo!
 Ricordiamo ai Geologi che, per esser tali, dobbiamo prima esser uomini; e che, per vantaggio dell’umanità e per esser uomini meno imperfetti, diventammo geologi.
 “Ognuno, non potendo da solo tutto comprendere, abbracci solo quella piccola porzione cui si riconosce adatto. Ma ricordiamo sempre, qualunque sia la nostra specialità, che essa è soltanto la parte di un tutto e che non ne è la part più importante; che al tutto da cui si diparte essa deve stare appoggiata e coordinata; che al tutto essa deve guardare; al tutto deve a brevi intervalli tornare; e che il tutto è la complessa Geologia. Siam tutti geologi, tutti Naturalisti convinti, tutti necessari, nessuno indispensabile, siamo tutti per uno e uno per tutti; come le verghe del fascio, come le spighe al covone.
Chiudiamo con la sua frase, un'esortazione che, ad oltre cento anni dalla sua formulazione, ancora ci incita e ci incoraggia.



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