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giovedì 9 febbraio 2017

A proposito de “I Signori delle Miniere”

di Paolo Sammuri


La copertina del libro
"I Signori delle Miniere,
di Michele Curcuruto
Il progetto GEOITALIANI, sin dagli esordi, ha tentato di approcciare il tema della storia delle geoscienze attraverso la descrizione, di volta in volta, di un episodio, di un personaggio, di un luogo specifico o di un fenomeno culturale e sociale legato al rapporto con il territorio. In tal modo si possono individuare molti fili conduttori per ricostruire lo sviluppo delle discipline geologiche in Italia. Con questo spirito pubblichiamo oggi una recensione a cura di Paolo Sammuri, membro della Sezione di Storia delle Geoscienze, dedicata ad un originale volume che racconta l’epopea mineraria sicula, di cui è autore Michele Curcuruto.

Il libro “I signori delle miniere” del collega geologo Michele Curcuruto è certamente un libro particolare, se non addirittura “anomalo” nel panorama della letteratura mineraria. Perché anomalo? Perché certamente non è il classico libro “tecnico-minerario”- storico, basato sulle descrizioni dei metodi di lavorazione, corredato di antichi piani e piante di miniera, che  illustra macchinari e tecniche; ma al contempo non fa nemmeno parte di quel vasto filone “sociale” in cui si descrivono le dure condizioni di vita ed i rischi dei minatori in sotterraneo, e quindi la nascita delle loro associazioni e le lotte svolte per migliorare le retribuzioni e le condizioni di lavoro. Anzi, Curcuruto cambia completamente prospettiva, e ci apre una nuova finestra antropologica su tutta la “borghesia mineraria”, sia direttiva (direttori di miniera, ingegneri e periti minerari) sia amministrativa (esercenti, gestori ed imprenditori) sia padronale (proprietari, nobili, principi) ed indirettamente sul personale operativo, dai contabile ai capimastri… fino ai “carusi”. Quindi, si tratta di fatti umani, più che tecnici, anche se poi, trattandosi di zona mineraria, inevitabilmente si parla anche di ferrovie, di teleferiche, di autotrasporti, di porti, di incidenti minerari. Interessanti sono molte figure ben tratteggiate di ingegneri minerari stranieri (francesi, inglesi e tedeschi), accanto a quelle di tecnici minerari “continentali”, spesso del nord od agordini, nonché, quelle di due personaggi, esploratori geologico-minerari in Africa, come il ben noto Ignazio Sanfilippo (in Libia) e il molto meno noto Filippo Terranova (in Egitto). Il tutto ruota  attorno alla storia del mondo minerario dello zolfo di Caltanissetta, dagli “anni d’oro” dell’800 e poi ai periodi della società Montecatini, del fascismo, della seconda guerra mondiale ed infine delle ingerenze della mafia. Quindi si parla di miniere, e di minatori che si spostano in varie miniere di zolfo, non solo siciliane ma anche marchigiane, di piriti toscane e trentine, e di valenti tecnici siciliani in miniere “continentali”. Insomma, si tratta di un grande “affresco minerario” a più quadri, che può sembrare a prima vista “disarmonico” ma che forse centra con precisione un bersaglio: mostrare che la miniera non è solo un fatto “in sé” tecnico-economico-sociale, ma penetra nella vita di una comunità in maniera pervasiva, e come di fatto possa influenzare e condizionare  la vita delle persone (non solo quella dei minatori!) che vivono in un territorio.

martedì 10 marzo 2015

Ignazio Sanfilippo: esploratore scientifico nel Deserto Libico

Figura 1: Ignazio Sanfilippo
di Vincenzo Ferrara

Nell'Italia liberale dei primi anni del '900, è forte il dibattito politico sull'opportunità di un'espansione coloniale in Nord Africa. Le provincie della Tripolitania e della Cirenaica, non ancora riunite sotto il nome di Libia ed allora sotto il dominio dell'Impero Ottomano, sono le sole aree risparmiate dalla colonizzazione delle grandi potenze europee e destinate per accordi diplomatici al nostro paese. Il Governo Giolitti deve destreggiarsi fra opposizioni esterne ed interne. L'opinione pubblica è dibattuta fra le tesi dei nazionalisti, favorevoli all'espansionismo coloniale e appoggiati da gran parte della stampa nazionale, e quella di socialisti, repubblicani e radicali contrari alla conquista di quello che è definito uno "scatolone di sabbia".
In realtà la conoscenza delle risorse naturali e del valore commerciale di quelle terre è soltanto approssimativa. Non esiste neppure una carta geologica dettagliata di quei posti e le poche notizie che si hanno sono il frutto di corrispondenze di viaggiatori che avevano effettuato ricognizioni scarsamente documentate (fra gli altri, Gerhard Rohlf e Paolo Vinassa de Regny).
Per valutare la convenienza della conquista coloniale occorre quindi giungere a risultati scientifici definitivi circa la natura dei terreni accertando l'effettiva esistenza delle favoleggiate ricchezze minerarie di quelle regioni ed in particolare dei vastissimi giacimenti di zolfo, addirittura a cielo aperto, che alcuni viaggiatori riferiscono di aver visitato nel corso delle loro escursioni libiche.
Il Ministro degli Esteri Di San Giuliano ed il sottosegretario Lanza di Scalea, ambedue siciliani, sono particolarmente interessati all'esplorazione mineraria libica. Lo sfruttamento a basso costo delle presunte miniere di zolfo, se effettuato da potenze straniere, creerebbe una imbattibile concorrenza e costituirebbe un grosso pericolo per l'economia siciliana e dell'intero paese.
Il primo ostacolo da superare è l'avversità mostrata dal governo turco all'azione commerciale italiana ed in particolare alla c.d. penetrazione pacifica portata avanti dal Banco di Roma che, su sollecitazione del Governo, ha aperto succursali a Tripoli e Bengasi con l'intento di coniugare motivazioni economiche e commerciali con esigenze diplomatiche. Direttore della succursale di Tripoli è Enrico Bresciani, in realtà agente segreto sotto copertura, che ricopre con abilità il ruolo di informatore politico del Governo Italiano.
Bisogna allora agire con massima segretezza eludendo l'ostruzionismo ottomano. La ricerca della persona adatta alla quale affidare la delicata esplorazione scientifica viene effettuata congiuntamente dal Ministero degli Esteri e dal Banco di Roma. Tenuto conto che in quegli anni la Sicilia è leader mondiale nella produzione dello zolfo, è lì che la ricerca viene focalizzata. Il più importante gruppo imprenditoriale operante allora nel settore è la Société Generale des Soufres, società di diritto francese costituita a Parigi nel 1906 da Ignazio Florio con capitali italo-francesi. La Société è proprietaria o concessionaria di una decina fra le più attive miniere siciliane. Ha un giro d'affari annuo di 50.000 tonnellate di minerale e occupa circa 7.000 dipendenti. Direttore Generale Tecnico del gruppo è Ignazio Sanfilippo.

Nato a Casteltermini (AG) nel 1857 da una nobile e facoltosa famiglia proprietaria di zolfare, Ignazio Sanfilippo interrompe i suoi studi di Ingegneria presso l'Università di Roma dopo il secondo anno per andare a dirigere le più importanti miniere del castelterminese. Coltiva da autodidatta studi di geologia, mineralogia e arte mineraria e nella sua professione di direttore di miniere si distingue subito per abilità tecnica e per il suo costante sforzo diretto a migliorare e rendere meno pericolose le disumane condizioni di lavoro dei suoi zolfatari. La sua fama a poco a poco supera i confini regionali grazie anche ad una serie di invenzioni, fra le quali spicca un forno continuo per la fusione dello zolfo, denominato appunto "Forno Sanfilippo". Nel 1906 è nominato Direttore Generale Tecnico della Société Generale des Soufres.