martedì 25 luglio 2017

Studenti tremate: il ‘Sasso di Maxia’ è tornato …

di Marco Romano

"Sei stato pesato sulle bilance e il tuo peso si è rivelato insufficiente …"

Queste le parole scritte da mano invisibile sul palazzo del re Balsassàr, figlio del grande Nabucodònosor, il quale aveva fatto asportare i vasi d'oro e d'argento dal tempio di Gerusalemme. Balsassàr pensò bene di recuperare i preziosi vasi e farli portare alla sua presenza, per farvi bere, in modo sfacciato e senza ritegno alcuno, i sui dignitari, le sue mogli e le sue concubine. L’‘Onnipotente’, come riporta la Bibbia, non deve aver apprezzato particolarmente questo gesto: così Daniele, il ‘deportato dei giudei’, dopo aver declamato a gran voce la scritta sul muro sentenzia in conclusione: “Dio ha computato il tuo regno e gli ha posto fine”. Sei stato pesato, caro re Balsassàr, ma non hai superato l’esame, ci dispiace.

Se è vero che nella vita gli esami non finiscono mai, quante volte ci siamo seduti davanti a una commissione, magari in camicia a maniche lunghe nella canicola impietosa di un luglio romano. E così, grondando di sudore tra una sigaretta e un'altra, trangugiando l’ennesimo caffè della mattinata e mandando a memoria i piani angusti del Carbonifero, “siamo stati pesati sulle bilance”. Sicuramente moltissime volte, come molti, o quasi infiniti, sono gli aneddoti legati agli esami universitari, tra professori burberi, domande improbabili e risposte degli studenti spesso al limite della psichedelia. Ogni dipartimento di Scienze della Terra dello Stivale ha sicuramente la sua memoria storica di aneddoti, situazioni divertenti, leggende e grandi spauracchi; nel mio piccolo, ricordo con piacere (il piacere è solo a posteriori ovviamente) le macchiette del Dipartimento romano, e parte di questo ricordo sarà, dunque, necessariamente personale.
Come dimenticare i sudati calcoli a mano agli esami di Carlo Felice Boni, Bozzano e Scarascia; il cladogramma da costruire con gli euro appena messi in circolazione all’esame di Nicosia, usando 100 lire come outgroup; e ancora, i profili a vista con Bruna Landini e Di Filippo, il metronomo che scandiva il tempo all’esame di anatomia comparata di Cristaldi (Figura 1), il rimpianto Marx nostrano.

Figura 1 - Il Prof di Anatomica Comparata Mauro Cristaldi (il Marx nostrano)
gioca con piedi di teropodi nella stanza ‘ordinata’ di Nicosia.
All’esame di paleontologia ci fu chi parlò una buona mezzora usando sempre il termine “triboliti” al posto di trilobiti; il buon Santantonio, all’orale di rilevamento, si dovette sorbire i famosi “sfilatini sedimentari” al posto dei filoni; secondo uno studente dell’ultimo anno il Sus strozzii del Valdarno era chiaramente uno ‘struzzo’, causando l’implosione del povero Odoardo Girotti all’esame di Geologia del Quaternario. Una volta la Prof. Conti mise ‘15 e lode’ a uno studente che aveva studiato in modo eccelso metà del programma, tralasciando deliberatamente la seconda metà. Quando si bluffa, come a poker, bisogna saper essere assolutamente convincenti…
Negli anni abbiamo visto realmente di tutto. Chi sfidò pubblicamente il Prof. Giacomo Civitelli (“Civitelli Re di Roma”, come recitavano le scritte sui banchi al primo anno) a lezione, pronunciando la sciagurata frase: “io ignorante?, lo vedremo all’esame”. Civitelli (Figura 2) che in escursione riusciva a girarsi una sigaretta con una mano sola, continuando a spiegare con disinvoltura, e martellando con la seconda mano; tutti gli studenti di solito perdevano il filo della spiega, distratti dalla mirabile prodezza. Il buon Lesti sequestrato e chiuso a chiave durante l’orale della temuta Fisica 1, dal noto professore argentino che doveva andare a pranzo; professore che, secondo la leggenda, era scappato in Italia come rifugiato perché dissidente politico.

Figura 2 - Il Prof Giacomo Civitelli durante un momento ‘sigaretta’ all’escursione presso Pietrasecca per gli studenti del primo anno di Scienze Geologiche (foto di Martina Mignardi).
Il Prof. Lucio Loreto di Mineralogia 1, era solito infilzare un ovetto kinder con degli stuzzicadenti (che diventavano magicamente assi di simmetria) per spiegare le simmetrie nei sistemi cristallini. Dopo di che l’ovetto, oramai trasformato in una pericolosa arma pungente, veniva lanciato in aula con un sorrisetto sadico allo studente che indovinava il gruppo mineralogico. La seconda ora di lezione consisteva, essenzialmente, nel montare le sorprese degli ovetti dalle retrovie dell’ultima fila, incuranti del reticolo di Bravais o degli indici di Miller.
Personalmente ricordo con divertimento (sempre a posteriori) il mio esame con il ‘temibile’ Prof. Ernesto Centamore (Figura 3), il leggendario rilevatore, il geologo “pantagruelico” come lo ribattezzò lo stesso Alvarez, nel noto libro sulla sezione del Bottaccione e sul livello anomalo di iridio al limite K-Pg, “T-Rex and the crater of Doom”. Per l’esame si era accompagnati da un professore di supporto (quasi di ‘sostegno’ oserei dire), con cui si realizzava una tesina per rompere il ghiaccio all’inizio del temuto orale.

Figura 3 - Il Prof. Ernesto Centamore con il suo ex-tesista ‘geoitaliano’ Alessio Argentieri, durante i festeggiamenti per il trentennale del Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza.
Scelsi la Prof. Conti come “effetto tampone”, e dedicai due buoni mesi e molto impegno a una bella revisione del margine di Tornimparte e relative rudiste. Il giorno dell’esame il buon Centamore prese la tesina in mano, e iniziò a sfogliarla con in volto quel sorriso sornione romano alla Aldo Fabrizi, che molti conoscono e ricordano. Dopo circa un minuto chiuse la tesina e si rivolse al sottoscritto con la seguente frase scoraggiante:<<Embè, che ce famo co’ le rudiste, la pastasciutta? Parlame un po’ dell’Avanfossa Complessa sensu Ricci Lucci>>. Non so se l’espressione di sconforto peggiore fu la mia o quella della Conti, tuttavia resta un bell’esempio di quando gli esami non erano semplici presentazioni in power point e potevano realmente togliere il sonno per settimane. A chi si sedette al patibolo dopo il sottoscritto non andò di certo meglio. La tesina di Alessandro Mancini non venne neanche aperta: gli venne gentilmente richiesto un profilo speditivo a memoria dal Gran Sasso all’Adriatico. A ogni piccolo nuovo tratto del transetto aggiunto con fatica, il buon Centamore integrava la spiegazione indicando tutte le possibili trattorie e ristoranti della zona, frutto di un esperienza ruspante sul terreno, altro che ‘Trip Advisor’ o “Gambero Rosso” radical chic. Ricordo chiaramente le sue parole al raccordo tra primo e secondo transetto: “ecco vedi, proprio qui dove il Gran Sasso accavalla sulla Laga, c’è un posto dove fanno i cojoni de mulo migliori del centro Italia”.

Tuttavia lo studente, quando messo alle strette, come il topo costretto nell’angolo, si ferma, smette di arretrare, può reagire o addirittura attaccare. Può avere persino l’illuminazione geniale, la ‘luccicanza’, andando a risolvere magari un problema che attanagliava lo stesso professore. Successe sicuramente a Enrico Fermi che, all’esame di ammissione a Roma, risolse un problema che arrovellava da tempo i grandi e chiarissimi luminari della Sapienza. Certo di Enrico Fermi o Majorana se ne contano pochi nel giro di un secolo, ma questa potenzialità dello studente l’aveva afferrata bene, negli anni cinquanta del secolo scorso, il Prof. Carmelo Maxia. Proprio da questo tentativo, quasi disperato, di trovare la risposta a un mistero persino nel ‘povero’ studente, nasce la leggenda: il temibile “Sasso di Maxia”.

Carmelino Maxia (1903-1984), detto Carmelo (Figura 4), è stato un geologo e paleontologo di origine sarda, che ha condotto la prima parte della sua carriera a Cagliari, sotto l’ala protettrice del grande Silvio Vardabasso. Gli anni a ridosso del secondo conflitto mondiale lo vedono impegnato essenzialmente in studi mineralogici, paleontologici e geologici sensu lato dell’isola di Sardegna, compilando anche il primo elenco catastale delle grotte della regione.

Figura 4 - Il Prof. Carmelino (Carmelo) Maxia.
Nel 1938 Maxia lascia l’isola e, come dicono i sardi, viene in continente, ricoprendo il ruolo di assistente nell’Istituto di Geologia e Paleontologia nell’Università di Roma, seguendo essenzialmente il direttore Giuseppe Checchia-Rispoli; quest’ultimo, personaggio di primo piano, aveva già diretto l’istituto di Cagliari, dove un giovane Maxia era cresciuto sul piano accademico. Di questi anni sono i famosi studi sul Mesozoico della campagna romana, con i lavori sui Monti Tiburtini, Prenestini, Cornicolani e Lucretili. Si dedicò tuttavia anche a studi prettamente paleontologici come l’analisi delle malacofaune della Tripolitania e le faune dei depositi pliocenici, osservabili in destra idrografica del fiume Tevere. Seminali sono stati poi i suoi studi estesi sul travertino e sua genesi nella campagna romana, con particolare interesse dedicato al famoso bacino delle Acque Albule. Degli anni cinquanta sono importanti monografie che hanno fatto da riferimento per decenni, tra cui la nota ‘Geologia dei Monti Cornicolani’, di cui conservo gelosamente a casa una rarissima copia personale (come le bobine della ‘Corazzata Potëmkin’ del Dottor Guidobaldo Maria Riccardelli, nel Secondo Tragico Fantozzi).
Una volta conseguita la libera docenza, nel 1954 Maxia divenne direttore dell’Istituto di Roma, prendendo il posto lasciato da Ramiro Fabiani dopo la sua morte (con un altro aneddoto che forse troverà un giorno spazio in queste pagine). Erano gli anni ruggenti della gloriosa “primavera romana” (Figura 5), che sarebbe proseguita poi dal 1960 con l’arrivo successivo di Bruno Accordi e dove, accanto al buon Centamore già menzionato, figuravano personaggi del calibro di Farinacci, Colacicchi, Angelucci, Zalaffi, Sirna, Cocozza, Francioni, Minniti, Devoto, Durante, Ristori, Menichini (da leggersi rigorosamente a voce alta e per terzine, come la formazione del grande Torino di una volta).

Figura 5 - La famosa ‘primavera romana’ schierata a bella posta nell’autunno del 1961, durante una ricognizione per i fogli da rilevare (tra cui Sora e Frosinone). In seconda fila, a partire da sinistra si riconoscono: Zalaffi, Sirna, Accordi, Francioni, Colacicchi, Angelucci, Cocozza, Centamore (rigorosamente con fiasco di vino rosso in mano), Minniti, Praturlon, Farinacci, Devoto e Menichini; in prima fila da sinistra Durante e Ristori. Sullo sfondo Montecassino. All’epoca l’unico strutturato era Colacicchi, come assistente.
Tra questi anche un giovane Praturlon, che ebbe la fortuna di seguire gli ultimi corsi di Maxia, prima della venuta a Roma del Prof. Bruno Accordi, di cui divenne uno dei primi laureandi romani. Lontani erano i tempi, con l’avvento del nostro casereccio boom economico, della crisi planetaria e dell’immane difficoltà di trovare un lavoro come geologo o ricercatore. Come racconta Praturlon, al suo arrivo da Cagliari rimase stupefatto del vedere le miriadi di annunci di compagnie petrolifere, tra cui anche l’Agip, che tappezzavano l’Istituto in cerca di giovani geologi del terzo e quarto anno, per assistenza ai pozzi nelle penisola: il famoso appello di Enrico Mattei ai giovani. Il partigiano Mattei che, appello o non appello, meno di un decennio dopo precipiterà a bordo dell’aereo di addestramento Morane-Saulnier MS.760 Paris nelle campagne di Bascapè, vittima dell’ennesimo attentato e ‘mistero’ all’italiana. Come l’assassinio passionale farsa di Pierpaolo Pasolini, che, guarda caso, stavo proprio lavorando a un voluminoso libro scomodo dal titolo conciso ed eloquente: Petrolio…

Tornando all’Istituto di Roma anni cinquanta, come consuetudine (e ci siamo passati tutti), parte dell’esame di geologia consisteva, anche all’epoca, nel riconoscimento macroscopico di campioni di roccia, con descrizione del litotipo, possibile genesi e inferenza sull’ambiente di formazione. Ed è in queste occasioni che il ‘perfido’ Maxia tirava fuori di soppiatto dal cassetto il grande spauracchio dello studente di geologia anni cinquanta: il terribile “Sasso di Maxia”. Un campione infido di pochi centimetri, grezzo da un lato, finemente levigato sul lato opposto, dove compariva un’inquietante fitta alternanza di livelli rosso fegato e livelli avana chiaro; veramente una diavoleria per i depositi spesso estremamente monotoni dell’appennino o pre-appennino: la famosa ‘calcaria’ che il grande Gian Battista Brocchi, nel 1822, apostrofava come “sterile roccia, che così nojose fa riuscire le peregrinazioni del mineralogista”. Il povero studente, che balbettava incerto anche su una semplice grovacca, si trovava tra le mani il ‘sasso’ maledetto e, nelle migliori delle ipotesi, manteneva un dignitoso silenzio.

Il sasso della discordia era stato recuperato da Maxia durante le sue peregrinazioni geologiche nell’appennino, in zona “Borgo Collefegato”, oggi conosciuto come Borgorose nella valle del Salto, in Provincia di Rieti. All’epoca lo studio geologico del preappennino e dell’Appennino era in una fase realmente pionieristica; su scala internazionale il nuovo paradigma della tettonica delle placche sarà dimostrato e accettato universalmente (a parte qualche oppositore tardivo russo particolarmente accanito) solo negli anni settanta, e non si aveva ancora un idea chiara di successioni ridotte o condensate e alti strutturali giurassici. Capitava dunque al buon Maxia di imbattersi in litotipi particolari e spesso difficilmente interpretabili: le famose “misteriti”, come quelle di Cottanello, che trovarono una spiegazione grazie agli studi pionieristici della Prof. Anna Farinacci (Figura 6), e successivamente nell’operato della sua scuola romana (scuola, in fin dei conti, riconducibile per via diretta allo stesso Maxia). Così, per semplice divertimento, e sperando veramente nel colpo di genio di uno studente, il Prof. Maxia durante gli esami tirava fuori il suo sasso dal cilindro, sperando nel miracolo…
 
Figura 6 - Anna Farinacci (semplicemente "La Prof.") in una foto dei primi anni sessanta.
Il ‘Sasso di Maxia’ scomparso all’incirca dagli anni settanta, chi vociferava nella sassaiola durante la famosa cacciata del segretario della CGIL Luciano Lama dall’Università, nel febbraio del ’77 (Figura 7), è stato clamorosamente ritrovato quest’anno per caso in Dipartimento, in un cassetto con appunti e sezioni sottili della Prof. Anna Farinacci (Figura 8). Dormiva il suo lungo sonno di quasi mezzo secolo, incurante del mondo che in qualche modo andava avanti, tra guerre del golfo, terrorismo estero e nostrano, fine della prima repubblica, maxiprocessi e 11 settembre. Probabilmente messo in salvo in un cassetto dalla Prof. Farinacci stessa nei momenti di maggior concitazione: a Lama si poteva lanciare di tutto, ma non di certo il ‘Sasso di Maxia’.

Figura 7 - Il segretario della CGIL Luciano Lama tiene il famoso comizio sindacale il 17 febbraio 1977 alla Sapienza, quando tra gli studenti “iniziò a serpeggiare un certo malumore”…

Figura 8 - Il leggendario “Sasso di Maxia” da poco ritrovato tra gli appunti della Farinacci.

La sua posizione attuale è stata segretata, e chissà, in un futuro non troppo lontano, potrebbe di nuovo comparire per magia durante un esame di riconoscimento rocce a Geologia, tra le mani di un “fortunato” studente del primo anno. I miti e le leggende restano tali solo e soltanto se non ne viene svelato l’arcano. Quindi non riveleremo in questa sede la vera natura del leggendario Sasso di Maxia.
Forse perché in fondo non la sappiamo neanche oggi, e speriamo sia già nato lo studente che risolverà il mistero…

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