lunedì 14 novembre 2016

Carmelino Maxia e l’Istituto di Geologia dell’Università La Sapienza negli anni ’60.

di Antonio Praturlon

Ho avuto la ventura di aver seguito a Roma gli ultimi corsi tenuti dal Prof. Maxia.
Ho quindi avuto modo di conoscere l'ambiente scientifico, umano e organizzativo dell'Istituto di Geologia, Paleontologia e Geografia Fisica, di cui era Direttore, poco prima della venuta del prof. B. Accordi, con cui poi ho sostenuto la tesi di laurea. In realtà, prima ancora di trasferirmi a Roma dalla Sardegna, dove avevo superato la maturità liceale al Dettori di Cagliari, mi ero affacciato per la prima volta all'Istituto, di passaggio per la Capitale, alla ricerca di monografie sui pesci fossili miocenici.
Li volevo consultare, ovviamente senza alcuna competenza in materia, e vedere se era possibile un prestito, per conto della mia (allora) fidanzata, che stava preparando la tesi sul Miocene di Cagliari sotto la guida della Prof.ssa I. Caria. Fui fatto entrare in una Biblioteca deserta dopo un interrogatorio di terzo grado, ma lì fui poi accolto da una bibliotecario con grande gentilezza. Per la verità, tutto l'Istituto mi era sembrato quasi deserto, anche se confrontato con quello di Cagliari. In quell'occasione mi colpirono in particolare gli avvisi di Agip e altre Compagnie che cercavano studenti di terzo o quarto anno per assistenza ai pozzi per esplorazione petrolifera in corso in Sicilia e in altre parti della Penisola. Più tardi, convinto dal prof. Vardabasso ad iscrivermi al Corso di Laurea in Scienze Geologiche alla Sapienza di Roma, tra i primissimi attivato in Italia poco prima della guerra, mi trovai anch'io senza saperlo a rispondere al famoso appello di Enrico Mattei ai giovani. Chiedeva loro di iscriversi numerosi a quel Corso di laurea, in quanto; il Paese servivano urgentemente geologi.
E così con me si iscrissero un mare di matricole, contro i tre-quattro studenti che frequentavano allora il quarto anno o già erano in Tesi, e che vedevamo girare come fantasmi col camice, in qualità di interni. Di colpo, ricordo, saltò tutto l'impianto organizzativo: all'Istituto mancarono di colpo, drammaticamente, spazi attrezzati, personale, strumenti, risorse, tutto.
Nonostante l'improvvisa alluvione di studenti, l'atmosfera in Istituto era molto serena. Stiamo parlando, credo, del 1956. Era da poco prematuramente scomparso, nel 1954, il Prof. Fabiani, succeduto nel 1947 a Checchia Rispoli, l'insigne paleontologo che aveva indirizzato il giovane assistente proveniente da Cagliari al filone stratigrafico-paleontologico, ritenuto giustamente la base per il rilevamento di dettaglio di aree di interesse geologico, e per la loro corretta interpretazione.




La cattedra rimase scoperta per anni. Quando frequentai l'Istituto, non c'era nessun "Barone". Il Prof. Maxia, che nel 1949 aveva conseguito la nomina ad Aiuto, era coadiuvato solo dalla impareggiabile Prof.ssa di Paleontologia A.M. Maccagno (Aiuto anch'essa). Si trattava dell'ultima genuina rappresentante della tradizione romana, un indirizzo prevalente, ormai centenario, di studi soprattutto paleontologici sui vertebrati fossili del Lazio e dell'Abruzzo e su altri interessanti temi del Quaternario Laziale. E in questo filone si inserisce a pieno titolo, abbandonando le tematiche coltivate in Sardegna, anche il nostro Aiuto, dopo G. Ponzi, R. Meli, A. Portis, E. Clerici, G. De Angelis d'Ossat. Ma come vedremo più avanti, Maxia aprì altre interessanti strade.
Col solo supporto di un bidello e di un paio di tecnici, con a fianco la fidata Prof.ssa Maccagno, il Prof. Maxia sopperiva praticamente a quasi tutte le esigenze didattiche, scientifiche e amministrative. La Direzione dell'Istituto rimase così per anni affidata a lui, che svolse il suo ruolo e tenne i suoi molteplici corsi fino al 1960, quando fu ternato al concorso per la Cattedra di Geologia di Catania per essere subito dopo chiamato a Cagliari, mentre a Roma saliva in cattedra il Prof. B. Accordi.
La maggior parte dei corsi era allora tenuta fuori Istituto (Chimica, Geochimica, Fisica, Matematica, tutti i corsi minero-petrografici, quasi tutti i complementari), altri erano affidati a docenti esterni incaricati. Nell'Istituto quindi si respirava solo aria di geologia schietta, rivolta soprattutto agli studi di terreno e alle ricerche paleontologiche nelle aree prossime a Roma. Tesi sperimentali di paleontologia e di rilevamento geologico erano pertanto la regola. E anche i corsi erano orientati in quel senso: per l'esame di Paleontologia era obbligatoria una tesina su fossili da raccogliere e classificare personalmente nel Macco di Anzio o nel Cretacico di Rocca di Cave. Per quello di Geologia bisognava presentare anche il rilevamento geologico di un quarto di tavoletta. Qualcuno però deve ancora assolverci per i numerosi peccati in opere ed omissioni, falsi e scopiazzature che tutto ciò comportava per noi poveri studenti.
I laureandi curavano le nostre esercitazioni come meglio potevano. Erano tutti Interni, una figura quasi scomparsa nell'Università di oggi, e nell'Istituto facevano un po' di tutto, dalle pulizie e spostamento dei mobili alle setacciature dei campioni, alle fotografie dei fossili, ai disegni, e così via. Per la loro tesi e per i loro colleghi.




Imparavano un po' di tutto, e tutti avevano diritto ad avere le chiavi dell'Istituto, dall'ingresso principale alla Biblioteca. Un mondo idilliaco, per pochi intimi, sconvolto dall'improvviso salto quantitativo. Vennero in aiuto anche dei neolaureati volenterosi, che si avviavano alla precoce carriera di precari. Erano tanti, e quasi tutti hanno poi fatto strada, nella professione, all'Università, in Enti di Ricerca, al Servizio Geologico.
In mezzo a questi giganteschi problemi strutturali, il nostro Aiuto scelse la via giusta per incanalare quella inattesa e informe massa di energie verso le strade del futuro. Ecco, se a distanza di mezzo secolo dovessi dare un giudizio di merito sull' attività del prof. Maxia, non ricorderei tanto il suo contributo nel riattivare gli studi geologici sulle aree circostanti Roma, in particolare sui Monti Cornicolani, Lucretili e Prenestini, ma soprattutto l'opera da lui svolta nell'avviare a tali studi, con metodologie e visione geologica moderne (come gli studi sulle facies mesozoiche e terziarie, che dagli anni '50 diverranno il tema dominante sia all'Università che al Servizio Geologico, con il quale si instaurò ben presto un prezioso legame scientifico) una schiera di giovani ricercatori: W. Brugner, A. Cortesini, V. Catenacci, V.A. Damiani, A. Farinacci, Leo Lombardi, M. Minniti, V. Molinari, L. Pannuzi, C. Parenti, G.C. Negretti, R. Romagnoli, A. Valdinucci, A. Zappelli, N. Zattini, A. Zuccari Tilia, .......... una intera generazione di bravi geologi, paleontologi, stratigrafi.

E quanti ne dimentico?

Maxia aveva una padronanza non comune della letteratura geologica sull'intero Lazio. Già nel 1943 aveva pubblicato una Bibliografia Geologica del Lazio (che avrà una seconda edizione ampliata nel 1956), accompagnata da una carta geologica d'insieme del Lazio a scala 1:550.000. Nello stesso periodo dava inizio ai suoi primi lavori analitici, dedicati ad un approfondito studio della regione sabina, dapprima con lavori di dettaglio, poi con alcuni lavori d'insieme. Inizia con lo studio delle formazioni liassiche delle due dorsali dei Monti Cornicolani e dei Lucretili, poi si spinge più a Nord, nel Reatino, dove affronta le rimanenti formazioni mesozoiche.
Della geologia dei Monti Cornicolani si occupa a più riprese, fino alla memoria conclusiva del 1954, accompagnata da una carta geologica di dettaglio alla scala 1:30.000. Nel 1953 inizia ad occuparsi del rilevamento dei Monti Prenestini, che impegna numerosi suoi allievi e collaboratori. Ne riferisce in una nota del 1954, in cui sono delineati sinteticamente i rapporti stratigrafici e strutturali tra l'area prenestina e quelle contermini. Nello stesso anno pubblica i rilevamenti, suoi e della sua scuola, dell'intera dorsale, accompagnata da una carta alla scala 1:35.000.
Avendo partecipato di persona ai rilevamenti di estremo dettaglio di quell'area per la nuova Carta Geologica d'Italia (Progetto CARG) in tempi molto recenti, devo rendere un vero omaggio a questo lavoro, e alle intuizioni moderne che ne sono la guida: sui rapporti di facies, sui legami tra tettonica e sedimentazione, sull'evoluzione geodinamica di quell'area rimasta cerniera tra due mondi geologici sia nel Mesozoico che nel Terziario, quello pelagico ad Ovest e quello di piattaforma carbonatica ad Est.
Meritano poi una menzione a parte le ricerche svolte tra il '46 e il '51 sulle formazioni plioceniche e pleistoceniche dell'area a Nord di Roma, in sponda destra del Tevere, spesso accompagnate da importanti ritrovamenti paleontologici. E' il solido contributo di Maxia al tradizionale filone di ricerche romano. Da ultimo vanno ricordati gli studi sui travertini di Tivoli ("Acque Albule"), tuttora considerati la base di partenza per le ricerche tuttora in corso, e le ricerche al di fuori della Campagna Romana e delle alture che la bordano. Tra il '49 e il '53 compaiono infatti lavori sul Soratte, sul Circeo, sulle strutture carbonatiche mesozoiche del Lazio e Abruzzo, dai Lepini- Ausoni-Aurunci ai Simbruini - Ernici, e infine anche ai Monti della Tolfa.
Maxia si spinse fino in Umbria, dove ebbe ad occuparsi dei terreni triassici affioranti nei dintorni di Narni.
Ho un ricordo gradevole del mio docente di Geologia e Geografia Fisica, associato ad aneddoti che tuttora circolano tra i suoi ex-allievi. Ricordo ancora quando si attraversava sul Raccordo Anulare la colata di Capo di Bove, ben esposta, con tufi rossastri al di sotto delle lave fratturate da cui colavano rivoli d'acqua, e ci diceva:
Vedano, vedano le lave leucititiche della colata e i tufi ricotti che gemono ...
O a Gubbio ci faceva notare anche senza bisogno di lenti le Globotruncane della Scaglia: 
Vedano, vedano, le Globotruncane della Scaglia, grosse come buoi ...
O il "metodo Maxia" di sbrigare la posta, che consisteva nel colmare via via nel tempo, con la posta arrivata, un profondo cassetto della bella scrivania di noce che già era stata del Portis, e decidendosi a rispondere alla parte di corrispondenza ancora attuale quando ormai le lettere non c'entravano più, e buttar via il resto.
Al di là di queste reminiscenze del passato, mi piace però sottolineare, col senno di poi, non tanto il pregevole lavoro scientifico svolto dal prof. Maxia durante la sua permanenza a Roma, quanto l'aver egli precorso i tempi nell'individuare le problematiche fondamentali del moderno studio geologico dell'Appennino, ad esempio nell'evidenziare l'importanza dell'analisi di facies, dello studio accurato di terreno, della nascente analisi micropaleontologica, e nell'aver indirizzato tanti giovani studiosi in quella direzione. Quando iniziarono in tutta Italia i rilevamenti della Legge Sullo per la nuova Carta Geologica al 100.000 di tutto il Paese, c'era già attivo a Roma, sia al Servizio Geologico che all'Università, un promettente vivaio da lui improntato, pronto a raccogliere le sfide della geologia moderna.

Per saperne di più:

Argentieri A. (2008) - Maxia, Carmelino. Dizionario Biografico degli Italiani. http://www.treccani.it/enciclopedia/carmelino-maxia_(Dizionario-Biografico)/
Pantaloni M. (2013) - 1948: il “Ponte sfondato” sul Torrente Farfa. http://www.geoitaliani.it/2013/09/1948-il-ponte-sfondato-sul-torrente.html


1 commento:

  1. Grazie, Professor Praturlon per questi ricordi su un docente a me quasi sconosciuto. Mi sono iscritto anche io a 'Geologia' nel '58 e ricordo il messaggio di Ardito Desio. Un caro saluto, Lucio

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.