mercoledì 7 ottobre 2015

Tacchi a spillo, capigliature corte alla garconne, continenti alla deriva: Federico Sacco contro tutti

di Marco Romano

Nel 1929 il grande geologo italiano Federico Sacco, pubblica uno spassoso e incendiario contributo dove si lancia in critiche pungenti e lapidarie contro tutte le tendenze del momento, passando dal mondo della moda femminile, alla musica, l’arte fino alle recenti teorie in campo geologico e astronomico. Sacco non è nuovo a incursioni di tale tipo dalla forte carica provocatoria e aneddotica. Basti pensare ad esempio alle prove e motivazioni, al limite del ridicolo e del grottesco, portate da Sacco per dimostrare “l’italianità dei territori irredenti” e giustificare quindi l’intervento dell’Italia nel primo conflitto mondiale. Esempio paradigmatico sono gli elementi addotti riguardo l’italianità dell’Adriatico, che, secondo il geologo, altro non è che una fase transitoria, destinata ad essere interrata dall’avanzamento del “Delta Padano”: “E siccome questa mirabile e benefica trasformazione adriaca si compie per l’abrasione dei monti italiani, per il trasporto fatto dai fiumi italiani e per l’opera continua, plurimillenaria… … eseguita dalle braccia e diretta dalla mente degli italiani, è ben giusto che la regione terracquea dell’Adriatico appartenga liberamente all’Italia”.


Fig. 1. Federico Sacco, da archivio Società Geologica Italiana.

Federico Sacco, nato a Fossano nel 1864 iniziò la carriera universitaria al Regio Politecnico di Torino, ricoprendo il ruolo di professore di paleontologia tra il 1886 e il 1917, per divenire poi ordinario in geologia dal 1897 al 1935. Tra le differenti e prestigiose cariche, Sacco ricoprì quelle di Presidente della Società Geologica Italiana, del Comitato Geologico Italiano e del Comitato Glaciologico Italiano; fu membro del Consiglio Superiore delle Miniere dell’ Accademia dei Lincei e dell’ Accademia delle Scienze di Torino. Gran parte delle sue ricerche in ambito geologico si concentrarono sullo studio delle Alpi Occidentali, con la pubblicazione di una famosa monografia sull’argomento; nel corso della sua carriera pubblicò oltre 600 lavori, molti in ambito paleontologico.
Nel testo dal titolo evocativo, “Aberrazioni”, che non lascia spazio ad alcun tipo di fraintendimento, Sacco passa come un trita sassi su tutte le mode più stravaganti che, a detta dell’autore, rappresentano veri e propri controsensi e irregolarità che sembra “quasi impossibile che abbiano potuto concepirsi e svilupparsi”. Il geologo passa in rassegna le mode femminili, vicine e lontane, parlando delle acconciature più stravaganti, le alte e complicate coiffures con chignons, le capigliature corte alla garconne, che non ci permettono secondo l’autore di distinguere una testa femminile da quella maschile. I busti oltre modo stretti che “martirizzano il corpo” per ottenere la tanto desiderata “vitina da vespa” e gli abiti più moderni che definisce addirittura “insaccature”. E ancora le vesti talmente strette da impedire perfino di camminare a chi le indossa, o talmente lunghe da raccogliere la spazzatura in terra. Fa riferimento ai lunghi tacchi delle calzature che “ci fanno apparire le donne come camminanti sui trampoli” fino ad arrivare al “semplicismo con denudamento superiore facilitante le broncopolmoniti ed accorciamenti inferiore sin sopra le ginocchi in modo da lasciare più poche illusioni sul corpo femmineo”.


Fig. 2. “Coiffures Vues Au Théâtre De La Porte Saint-Martin À La Répétition Générale Du "Destin Est Maître" Et Monsieur Bretonneau” anno 1914 by Maury R.
From http://digitalcollections.nypl.org/items/510d47e1-0821-a3d9-e040-e00a18064a99.


Dirige poi la sua invettiva verso le mode nei balli, dove le rimpiante danze antiche lasciano il passo ai grotteschi ‘movimenti a salti’ del tango e del fox-trot (scrive l’autore del tutto analoghi a quelli in uso nelle tribù africane), il rumore disarmonico e sincopato delle jazz-band che poco hanno a che invidiare a quelle dei Negroidi”; le deformazioni artistiche del cubismo e del futurismo che si vanno a sostituire “al meraviglioso splendore dell’Arte greca e della Rinascenza” e che, secondo l’autore, assomigliano più a “fantasie di squilibrati e schizzi bambineschi che non opere di persone sedicenti artisti”. Per quanto riguarda la Politica e la Religione, l’autore preferisce non esprimersi anche se, come afferma Sacco, anche in tali ambiti “molto ci sarebbe da notare… …riguardo le più strane aberrazioni umane”. In definitiva, la grida di Sacco si configura come una sorta di vero e proprio manifesto anti-futurista e conservatore volto a preservare il mondo classico, in tutte le sue manifestazioni, ed estirpare sul nascere i germogli delle nuove avanguardie (sia in ambito artistico e sociale che geologico come vedremo).
Passando poi al mondo della scienza si scaglia contro la teoria che i crateri lunari siano effetto di bombardamento da parte di meteoriti, difendendo l’origine magmatica delle strutture. La teoria è stata proposta dal leggendario scienziato ed esploratore tedesco Alfred Wegener (1880-1930), padre della teoria della Deriva dei Continenti, di cui festeggiamo, proprio quest’anno il centenario. Durante il suo servizio nell’esercito sul fronte est nella Prima Guerra mondiale come Leutenant d. Res. Des Königin-Elisabeth-Garde-Grenadier-Regiments Nr.3, Wegener aveva avuto l’occasione di studiare nel dettaglio i crateri lasciati dalle mine e dalle bombarde sui vari tipi di substrati su cui vennero condotte le ostilità. A seguito di lunghe notti passate ad osservare il nostro satellite per mezzo di telescopi, lo scienziato tedesco constatò la stretta e non casuale corrispondenza tra la struttura dei crateri lunari e i crateri osservati di persona durante la grande guerra (classico bordo di espulsione da impatto, rialzo centrale etc.) e pubblicò i risultati dei suoi studi in un convincente articolo del 1919 dal titolo “Die Entstehung der Mondkrater”. Probabilmente tale lavoro non andò del tutto a genio a Federico Sacco (che come vedremo era ostile anche all’opera maggiore di Wegener, la deriva dei continenti) che rifiutò la nuova interpretazione e reclamò con forza la vecchia ipotesi del magmatismo lunare (l’autore lo definisce il “grandioso ribollimento” lunare).


Fig. 3. Esperimenti di Wegener su substrati di gesso e cemento per dimostrare
che i crateri lunari hanno un origine da impatto. Scala in centimetri.
Modificato da Wegener (1921, fig. 1, 2, p. 593).
Sacco poi ridicolizza la teoria di cui era a capo William Henry Pickering (1859-1939) con diversi seguaci in tutto il panorama internazionale, che sin dal 1907 sosteneva che la Luna si fosse staccata dalla Terra allo stato magmatico lasciando una gigantesca cicatrice rappresentata dalla depressione oceanica del Pacifico. Critica in parte la teoria dei ‘carreggiamenti’ o ‘nappe’ (sovrascorrimenti nella terminologia moderna), che, anche se fondata su interessanti fatti geotettonici (“pieghe rovesciate, anche talora più volte sovrapposte, involute, retroflesse, digitate, imbricate”), secondo l’autore è stata spinta troppo in la nelle interpretazioni e conclusioni, arrivando a definire il ‘contagioso’ fenomeno come “ultranappismo, l’estensione iperboleggiata di una buona teoria”. Tale moda, secondo Sacco, porterebbe a non veder più nessun affioramento come realmente in posto, ma in ogni caso alloctono e trasportato per decine o centinaia di chilometri.
Sacco poi passa a commentare la “famosa teoria del Wegener” sulla migrazione o deriva dei continenti, definita dall’autore “non meno strana” se la si considera con “severo occhio geologico”. Il geologo afferma che le similarità tra la costa occidentale dell’Africa e quella orientale dell’America meridionale erano state sottolineate e descritte da egli stesso già nel 1906 (quindi sei anni in anticipo sulla prima presentazione in pubblico della teoria della deriva alla Società Geologica di Francoforte) e delineati persino su una tavola annessa al lavoro “Les Lois fondamentales de l’Orogénie de la Terre” (tuttavia senza per questo voler accettare l’ipotesi dell’espansione come fece diversamente Wegener). In questa sua supposta priorità, di cui Wegener non tenne conto nelle prime edizioni della sua opera maggiore, risiede probabilmente il motivo viscerale dall’astio di Sacco nei confronti dello scienziato tedesco e delle sue teorie (a partire dai crateri lunari fino alle cause, modalità e conseguenza della deriva dei continenti).


Fig. 4. Riunione di tutti i continenti in un’unica grande massa
secondo la teoria della deriva dei continenti, dal commento di Silvio Vardabasso
all’opera di Wegener (Vardabasso, 1924, fig. 1, p.93). 
Afferma Sacco che se si consulta semplicemente una carta batimetrica generale, ci si accorge che i fondi oceanici sono variamente rilevati, con immense strutture positive e “rughe, e non pianeggianti come si suppone siano i grandi piani sismici tra i continenti silici ormai separati”. L’autore afferma che i corrugamenti neogenici sui continenti, posteriori alla supposta separazione dei continenti, indicano formidabili spinte tangenziali e non un processo di ‘stiramento’, che sarebbe diversamente atteso nell’ipotesi della deriva. Considera inoltre irrazionale l’ipotesi di un’unica massa continentale, non comprendendo perché sia in effetti unica all’inizio e per quale causa poi cominci a frammentarsi in parti minore sialiche e naviganti in tutte le direzioni. Secondo Sacco, se si considerano nel complesso tutte tali evidenze, la mente “rimane quasi attonita per l’arditezza dell’ipotesi wegeneriana” e considera persino più logiche vecchie teorie oramai tramontate, come quella catastrofica delle Rivoluzioni del Globo di Cuvier o la “teoria pentagonale del Beaumont”.
Nonostante tutte queste critiche e obiezioni, scrive Sacco, la teoria di Wegener è ora in gran voga, riempie le pagine della letteratura geologica e appassiona tutti i geologi. Appare poi decisamente scandalizzato che un autore come Fernando Navarro abbia incluso il Wegener a costituire una vera e propria triade con i giganteschi Lyell e Suess.
Sacco conclude affermando che idee o teorie scientifiche del tutto rivoluzionarie e fuori dagli schemi in fondo non fanno male a nessuno “e quindi non importa che gli scienziati vi si sbizzarriscano a loro piacimento”: idee e teorie devono avvicendarsi e sempre perfezionarsi basandosi su nuove evidenze e dati di fatto (si respirano già gli echi delle rivoluzioni kuhniane in un certo qual senso). Tuttavia, quando nuove teorie erronee e esagerate vengono accettate in modo acritico, divenendo veri e propri dogmi, possono produrre gravi danni ed è quindi “bene cercare di arrestarle, o di correggerle ed incanalarle nella retta via del buon senso”. È molto probabile che quando scriveva tali parole Sacco stesse pensando e facendo riferimento espressamente alla teoria della deriva di Wegener. Per sua sfortuna la mole di nuove evidenze geofisiche, raccolte a partire dalla fine degli anni cinquanta del secolo scorso, hanno portato a una delle più grandi rivoluzioni della geologia moderna, la Tettonica delle Placche. La nuova teoria unificatrice ha permesso per la prima volta una sintesi inaspettata di tutte le evidenze geofisiche, geodinamiche, sedimentologiche, paleontologiche e geologiche sensu lato, con una completa rivalutazione, seppure tardiva, delle idee visionarie di Wegener.

È divertente immaginare quale potrebbe essere la reazione dinamitarda di un Federico Sacco catapultato improvvisamente nel ventunesimo secolo, nella totale schizofrenia del multitasking tra social network, profili Twitter, Facebook e messaggi vocali su WhatsApp. È possibile figurarselo mentre si scaglia contro la selfie generation, contro i leggins, i tatuaggi, i capelli colorati, i picchi d’iridio, la caduta del meteorite al limite KPG, la deriva verso ovest della litosfera e le maree solide.
Noi, figli del compromesso e della modernità, rispondiamo con un bel selfie d’obbligo per festeggiare il grande successo del primo congresso a Trento organizzato dal gruppo Geoitaliani: in via del tutto cautelativa, teniamo posizioni più moderate per non essere poi falsificati, in un futuro prossimo, come accadde per l’intransigente e tradizionalista Sacco.

Fig. 5. Geoitaliani all’apertura del congresso “In Guerra con le Aquile”,
MUSE, Trento, 17-20 settembre 2015.

Per saperne di più:
Fabbi, S., and Romano, M. 2015. The First World War of Italian Geologists: between patriotic interventionism and objective pragmatism. Rend. Online Soc. Geol. It., 36, 67-71. https://www.researchgate.net/publication/281650323_The_First_World_War_of_Italian_Geologists_between_patriotic_interventionism_and_objective_pragmatism.
Pantaloni, M. 2013. 1913, Federico Sacco, "Les Alpes Occidentales". http://www.geoitaliani.it/2013/03/1913-federico-sacco-les-alpes.html.
Romano, M., and Cifelli, R. 2015. Plate tectonics: Continental-drift opus turns 100. Nature, 526(43), doi:10.1038/526043e. https://www.researchgate.net/publication/282353618_Plate_tectonics_Continental-drift_opus_turns_100.
Sacco, F. 1929. Aberrazioni. Urania, 5, 1-4.
Wegener, A. 1921. Die Entstehung der Mondkrater. Naturwissenschaften, 9, 592-594. http://link.springer.com/article/10.1007%2FBF01496057.


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