venerdì 24 ottobre 2014

24 ottobre 1918: la battaglia di Vittorio Veneto

di Fabiana Console
Foglio geologico n.37 Bassano del Grappa
alla scala 1:100.000
Ufficio Idrografico del Magistrato delle Acque
Venezia - 1946
(fonte ISPRA - Servizio geologico)


Oggi noi di Geoitaliani vogliamo ricordare, patriotticamente, la battaglia di Vittorio Veneto (o Terza battaglia del Piave) che avvenne il 24 ottobre del 1918 nella zona compresa tra il Fiume Piave, il Massiccio del Grappa, il Trentino e il Friuli.
Notoriamente questo fu l'ultimo, ma non meno cruento, scontro armato tra l'Italia e l'Impero austro-ungarico nel corso della prima guerra mondiale. L'attacco decisivo italiano, fortemente sollecitato dagli alleati che erano già passati all'offensiva generale sul fronte occidentale, ebbe inizio in questa data ma l'Impero austro-ungarico dava già segni di un inarrestabile crollo soprattutto a causa delle tensioni interne di ordine politico-sociale tra le diverse nazionalità presenti nello stato asburgico. La battaglia di Vittorio Veneto fu caratterizzata da una fase iniziale duramente combattuta nella quale l'esercito austro-ungarico - Gruppo Belluno - fu in grado di opporre valida resistenza sia sul Piave che sul Monte Grappa causando la morte, durante il primo giorno di battaglia, di oltre 3.000 italiani. Dopo 4 giorni di durissimi scontri seguì un improvviso e irreversibile crollo della difesa austriaca. Il 29 ottobre le truppe italiane rientrarono nelle prime città del Veneto occupate dal nemico da quasi un anno e liberarono le popolazioni che avevano duramente sofferto il dominio austro-ungarico.
Con la progressiva disgregazione dei reparti, le defezioni e gli ammutinamenti tra le molte minoranze nazionali, che favorirono la rapida avanzata finale dell'esercito italiano fino a Trento e Trieste, il 4 novembre 1918 venne concluso l'armistizio di Villa Giusti che sancì la fine dell'Impero austro-ungarico e la vittoria dell'Italia nella Grande Guerra.
Ricordiamo questo evento storico, come di consueto, attraverso la pubblicazione di una carta geologica; in questo caso si tratta del foglio geologico n.37 Bassano del Grappa (prima edizione) della Carta Geologica d'Italia alla scala 1:100.000, a cura del Ministero dei Lavori Pubblici, Ufficio Idrografico del Magistrato alle Acque, stampato nel 1946.
Questo foglio - che non ha visto una seconda edizione - insieme a tutti quelli della zona Veneto-friulana fa parte della serie della Carta Geologica delle Tre Venezie.
Le gravi condizioni politico-economiche degli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale bloccarono temporaneamente la realizzazione del progetto della Carta Geologica d'Italia - iniziato nel 1877 - fino a quando, grazie al R.D. n. 346 del 17 febbraio 1927 (Riordinamento del Servizio Geologico dello Stato), l'attività di rilevamento riprese con la produzione della Carta geologica delle Tre Venezie, in collaborazione con il Magistrato delle Acque.

La carta è conservata presso la Biblioteca ISPRA - Archivio cartografico del Servizio Geologico d'Italia. 
E' visualizzabile sul sito internet dell'ISPRA (link).

lunedì 13 ottobre 2014

Torello Martinozzi, minatore di Gavorrano

di Alessio Argentieri



La storia delle conoscenze geologiche in Italia è legata, in epoca moderna, allo sviluppo dell’industria mineraria. Protagonisti del progresso tecnologico e culturale nazionale furono non solo gli ingegneri del Corpo Reale delle Miniere sabaudo, poi confluito nel Regio Ufficio Geologico, ma anche tutti i lavoratori del sottosuolo dei diversi distretti italiani. I minatori del nostro Paese hanno più volte dovuto- fino ai giorni nostri- difendere con i denti il loro impiego umile, assai rischioso e poco pagato, quando le logiche del mercato internazionale inducevano le imprese a sospendere le attività estrattive del sottosuolo italiano.
In omaggio alla grandissima dignità di questa categoria, ci teniamo particolarmente a riservare ai minatori il posto che spetta loro nel Pantheon di Geoitaliani.

Abbiamo già parlato in passato delle storie di Villasalto (Sardegna) e di Arsia– Raša (Istria); a breve racconteremo dei minatori delle Colline Metallifere della Toscana.

In previsione di ciò, ci associamo oggi al saluto ad uno di loro, Torello Martinozzi da Gavorrano (Grosseto), invitandovi alla lettura delle belle parole che il Direttore Salvatore Veltri gli ha dedicato su Attualita.it



venerdì 3 ottobre 2014

Le Tre Fontane e il martirio di San Paolo

di Marco Pantaloni

A Roma, sulla trafficata Via Laurentina, in prossimità del complesso sportivo dell’Acqua Acetosa e del Luna Park, ormai abbandonato, sorge un luogo di pace, isolato dal traffico e dal rumore, simbolo per la Cristianità.
Si tratta del complesso abbaziale delle Tre Fontane, che presenta i caratteri di un monastero fortificato, come si vede già dal portale d'ingresso, il cosiddetto Arco di Carlo Magno.

L’Abbazia delle Tre Fontane sorge in una piccola valle attraversata dal tracciato dell’antica Via Laurentina; la zona veniva chiamata, in antichità, “Acquae Salviae”. Si presume che il toponimo derivi dall’associazione dell’abbondanza delle acque con il nome della famiglia proprietaria dei terreni in tarda epoca latina.


L'area delle Acquae Salviae (tratta da Google Earth)

La storia di questo luogo risale alla metà del VII secolo, quando è attestata la presenza di un “abate Giorgio, del monastero di Cilicia che sorge alle Acque Salvie della nostra città”. Il nucleo originario del complesso, quindi, fu quello greco-armeno, a cui viene attribuita la fondazione della chiesa che oggi si chiama Santa Maria Scala Coeli.

Alla fine dell’XI secolo, col decadimento di importanza del monastero armeno e lo sviluppo del potere dei Cluniacensi, l’abbazia e i possedimenti passarono, per pochi decenni, a questi ultimi. In seguito, poi, l’intera area passò dai Cluniacensi ai Cistercensi, che edificarono la Chiesa Abbaziale.

Dopo lunghi secoli e varie vicissitudini, nel 1808 l’Abbazia fu soppressa dai francesi, che dispersero il patrimonio; solo libri e archivi vennero trasferiti in Vaticano. La valle delle acquae salviae, abbandonata alla natura, si impaludò e l’area venne infestata dalla malaria.
Nel 1867, 18° centenario del martirio dei Santi Pietro e Paolo, grazie ad una donazione francese venne insediata nell’antica abbazia una comunità di Trappisti che provvidero al restauro della basilica e alla bonifica dell’area. La bonifica fu realizzata per mezzo di canalizzazioni, piantumazione di eucalipti e l'interramento di uno stagno.





Cercando un filo logico che leghi questo luogo alla nostra disciplina, non è l’aspetto storico-architettonico quello che suscita la nostra curiosità, bensì l’origine della denominazione del luogo: le Tre Fontane.
Secondo la tradizione cristiana, il 29 giugno del 67 d.C. fu proprio nella valle delle acquae salviae che San Paolo di Tarso venne decapitato; la testa dell’”apostolo dei Gentili”, il principale missionario del Vangelo di Gesù, cadendo a terra rimbalzò tre volte. In ciascun punto scaturì una sorgente, distanziata pochi metri una dall’altra.
Queste sorgenti si trovano all’interno della suggestiva Chiesa di San Paolo alle Tre Fontane, costruita nel V secolo sul luogo dove l'apostolo fu, secondo la leggenda, martirizzato e decapitato, come recita la grande lastra marmorea posta sull'architrave della facciata: "S. Pauli Apostoli Martyrii Locus Ubi Tres Fontes Mirabiliter Eruperunt”, ossia "Luogo del martirio di S.Paolo Apostolo dove tre fonti sgorgarono miracolosamente".










Già Andrea Bacci nel 1571, nel suo trattato De Thermis (un libro sulle acque, la loro storia e le qualità terapeutiche che venne accolto con entusiasmo dalla società scientifica papalina e fu oggetto di molte ristampe), ricorda che quelle tre sorgenti erano “crassae, fumosae et cum aliquali tepore”.
La prima polla ha la caratteristica di essere calda, la seconda tiepida, la terza fredda. Sulle tre fontane, che a lungo conservarono le differenti temperature delle acque, furono erette tre edicole in ricordo del miracolo avvenuto. Le edicole sono a forma di nicchia con colonne di marmo nero di Chio, sovrastate dallo stemma della famiglia Aldobrandini e da un catino a conchiglia; su ognuna delle quali è scolpita la testa di S. Paolo. Per molto tempo l'acqua fu distribuita ai fedeli perché ritenuta miracolosa per varie malattie, ma nel 1950, a causa dell'inquinamento, il flusso venne chiuso.



Oggi è possibile ascoltare il fluire delle acque avvicinandosi alla base delle edicole e, nel silenzio della Chiesa, pensare alla moltitudine di fedeli che, nei secoli, hanno venerato questo luogo mistico e le tre polle d’acqua sorgiva.

Per concludere questo racconto, prima di uscire dalla chiesa, è necessario notare nell'angolo di destra, vicino alla prima edicola e protetta da una cancellata, la colonna di marmo bianco alla quale la tradizione vuole che S. Paolo sia stato legato per subire il martirio.


Forse degli accurati studi idrogeologici potrebbero spiegare in modo scientifico l’origine di queste tre piccole sorgenti; la Chiesa sorge sui depositi siltoso-sabbiosi e siltoso-argillosi delle piane alluvionali del Fiume Tevere, con alla base livelli ghiaioso-sabbiosi che possono ospitare una falda in pressione (SFTba nel foglio 374 Roma della Carta geologica d’Italia in scala 1:50.000). Nell’area, questi depositi quaternari sono in contatto laterale con l’unità medio pleistocenica della Formazione di Valle Giulia (VGI: ghiaie, sabbie e limi, con travertini fitoclastici alla sommità), oltre che con i depositi piroclastici costituiti dalle Pozzolane rosse (RED nella carta geologica), anch’esse di età Pleistocene medio p.p.

Stralcio del foglio 374 Roma
della Carta geologica geologica d'Italia
in scala 1:50.000

E' nostra opinione, tuttavia, mantenere un’aura di mistero sull'origine di queste acque. La leggenda sulla nascita delle sorgenti e le virtù terapeutiche assegnate alle acque, dovrebbero essere preservate dalle osservazioni scientifiche, che poco o nulla potrebbero aggiungere al profondo valore mistico del luogo.

Per saperne di più: