di Alessio Argentieri e Marco Pantaloni
Seguendo un percorso a
ritroso nel tempo, verso le epoche in cui i confini tra le discipline
scientifiche erano labilmente definiti, si possono trovare le radici del
primato italiano nella geologia: bisogna ritornare tra il XVI e il XVIII
secolo, quando gli studiosi erano al tempo stesso medici, botanici, astronomi,
geologi, naturalisti, chimici e forse anche un po' stregoni ....
Nella
prefazione del volume Four centuries of the
word Geology. Ulisse
Aldrovandi 1603 in
Bologna (2003), che ricostruisce la
nascita delle moderne discipline geologiche nell’ambiente culturale bolognese
tra il XVI e il XVII secolo, Gian Battista Vai e William Cavazza pongono due
fondamentali interrogativi:
- “Perché il primato italiano nello sviluppo della geologia dal Cinquecento al Settecento- ammirato da Lyell sin dalla prima edizione dei Principles of Geology (1830-1833)- è stato dimenticato dai geologi italiani dell’Ottocento e del Novecento, e mai preso in considerazione dagli storici della scienza?”
- “Perché la epistemologia sta diventando riserva di caccia degli umanisti, mentre gli scienziati sono sempre meno consci del loro importante ruolo filosofico e culturale, contribuendo ad allargare il solco fra le due culture?”
