martedì 12 novembre 2013

1932: un elefante al Colosseo

di Marco Pantaloni

A pagina 3 del Giornale d’Italia, nell'edizione del 24 maggio 1932, venne pubblicato un articolo con il seguente titolo: “I resti di un elefante preistorico nello scavo accanto al Colosseo”.
Nel mese di maggio infatti, nella zona dei Fori Imperiali, durante le operazioni di scavo per far largo alla costruenda Via dell’Impero (oggi Via dei Fori Imperiali), all'altezza della ormai demolita Collina Velia e quindi a poche centinaia di metri dall'Anfiteatro Flavio,  venne rinvenuto un cranio completo di zanne di un elephas antiquus. La notizia fece, ovviamente, molto scalpore e venne rilanciata da tutti i giornali dell’epoca.
L’articolo del Giornale d’Italia scriveva:
Il 23 maggio del 1932, all'incrocio tra via del Colosseo e via Gaetana Agnesi, avviene una delle scoperte più notevoli, consistente nei resti del basamento dell’edicola del compitum Acili, […]. Nello stesso mese di maggio avvenne il celebre rinvenimento del cranio di elephas antiquus, che fu di stimolo per lo studio geologico di tutta l’area interessata dai lavori compiuto da parte di G. de Angelis d'Ossat (Bull. Comm. Arch. Com., LXIII, 1935, pp. 1-34). Egli si soffermò su una sezione geologica tra le più complete messe in luce durante i lavori, rimasta in piedi vicino al luogo di rinvenimento dei fossili più importanti, quasi come un relitto appoggiato al muro a sacco fiancheggiante il tempio di Venere e Roma. La morfologia dei luoghi, in particolare la conformazione naturale delle alture della Velia e della sella tra il Campidoglio e il Quirinale, è stata ricostruita da de Angelis d’Ossat in una serie di studi degli anni Trenta e Quaranta e ha trovato piena conferma, con qualche ridimensionamento, negli studi più recenti.
Ad occuparsi del ritrovamento dei resti di elephas fu Gioacchino De Angelis D’Ossat che, insieme al più giovane Carlo Alberto Blanc, sono stati i ricercatori che più di ogni altro hanno contribuito al progredire delle conoscenze sul campo delle faune a vertebrati durante il periodo a cavallo della Seconda Guerra Mondiale.
Dopo lo studio da parte di De Angelis D'Ossat, dei resti fossili di elephas si perdono le tracce; con molta probabilità la zanna sinistra può identificarsi in quella conservata presso l' Istituto Tecnico Leonardo Da Vinci, a Roma. A conferma di questa teoria ci sono lo stato di conservazione, la morfologia dell’esemplare, la sua lunghezza esterna (dall'alveolo all'apice) e il diametro alla mandibola, tutti elementi che corrispondono con le misure e le descrizioni pubblicate da De Angelis D'Ossat. La zanna appare “malamente” restaurata, usando comune cemento, elemento che coincide ancora con la descrizione di De Angelis D'Ossat secondo il quale la zanna, dopo essere stata consolidata in loco, venne trasportata all'Antiquarium comunale, dove però non è mai stata ritrovata.

Nelle immagini d’epoca appare anche il cranio; questa parte dell’esemplare sembra essere scomparsa. Maccagno nel 1962 afferma che l’esemplare è conservato presso i Musei Capitolini, mentre non è da escludere il suo smarrimento, anche in virtù dell’estrema fragilità e del cattivo stato di conservazione come ebbe a sottolineare lo stesso De Angelis D'Ossat.
Ovviamente, dopo il ritrovamento e il clamore che la notizia ebbe sulla stampa, il volgo romano credette di riconoscere nell'elephas antiquus dei Fori Imperiali più che il resto fossile di un animale del passato, di una vittima in più del bestiario del Colosseo, ancora così vivo nella memoria.
Poche immagini ci rimangono di quel rinvenimento; la necessità di completare la strada, simbolo del ventennio, non permise riprese filmate dell’evento.

Molti anni dopo, invece, altri rinvenimenti di resti di elephas antiquus nei dintorni di Roma vennero immortalati dalle telecamere dei cinegiornali: in particolare quello avvenuto nella zona di Montespaccato, sulla Via Aurelia:


e, nel 1970, sulla Via Flaminia:


Per saperne di più:


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