venerdì 29 giugno 2018

L’importanza degli archivi storici nella ricostruzione degli effetti locali di grandi eventi geologici del passato: le eruzioni del Laki (1783) e del Tambora (1815)


di Isabella Salvador

Fig. 1 - Eruzione del Monte Vesuvio dell’8 agosto 1779 dove sono messi in evidenza i fenomeni atmosferici connessi (nubi e scariche elettriche) (da: Campi Flegrei. Osservazioni sui vulcani delle Due Sicilie, W. Hamilton).
Nell’estate del 2016, conducendo ricerche storiche nell’Archivio della Biblioteca Civica di Rovereto, mi sono imbattuta in alcuni volumi manoscritti fitti di annotazioni e dati numerici: si trattava di diari meteorologici redatti tra il 1778 e il 1839 dall’abate Giuseppe Bonfioli (? - 1840), fisico trentino che, seppur membro dell’Accademia degli Agiati di Rovereto, aveva lasciato ben poche tracce di sé per i posteri.
I diari, nei quali Bonfioli oltre ad aver registrato scrupolosamente temperatura e pressione giornaliera, aveva anche descritto i principali eventi meteorologici occorsi (fig.2), rappresentano una ‘banca dati’ di indiscusso valore, tanto più che si tratta di osservazioni registrate durante un periodo di anomalie atmosferiche ben note.
Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 si era infatti registrata una fase di significativa riduzione dell’attività solare (minimo di Dalton 1790-1820), caratterizzata da un abbassamento medio delle temperature globali. Chiudeva questo trentennio uno dei fenomeni eruttivi più energetici della storia recente della Terra: l’eruzione del vulcano Tambora (5 - 15 aprile 1815) che avrebbe provocato, l’anno successivo, quello che passò alla storia come l’  “anno senza estate”, di cui proprio nel 2016 ricadeva il duecentesimo anniversario.
La curiosità di trovare qualche traccia degli effetti di tale eruzione anche in quelle pagine e di cogliere, con lo sguardo di uno studioso di inizio Ottocento, le ‘stranezze’ che potevano essersi palesate in una piccola valle alpina, mi spinsero a immergermi completamente in quel mondo dimenticato da 200 anni.
Inaspettatamente oltre a trovare testimonianza degli effetti del Tambora, descritti come una “specie di disordine nelle stagioni e nella temperatura” in tutta Europa durante il bienno1816-1817, Bonfioli riportava anche il resoconto di strani fenomeni verificatisi durante l’estate del 1783 e nel successivo1821.

Fig. 2 - Pagine del diario meteorologico di Giuseppe Bonfioli del 1816, l’ “anno senza estate”(Archivio comunale di Rovereto).
Tra le pagine del diario, quelle più dense di annotazioni si riferiscono proprio al biennio 1816-1817.
I primi sentori delle ‘stranezze meteorologiche’ furono registrati nella primavera del 1816. Bonfioli aveva notato che, fino a maggio, le temperature erano state particolarmente rigide e che, tra il 13 e 14 di quel mese, aveva nevicato anche nella città di Trento e nelle campagne del fondovalle. Le piogge e le nevicate a bassa quota erano continuate per tutto il mese di giugno e luglio, tanto che la quantità eccezionale di precipitazioni di quei mesi aveva provocato un aumento insolito del livello del Lago di Garda. Il cattivo tempo si era protratto fino all’autunno inoltrato. In quell’anno in Trentino la temperatura media fu 1,2° inferiore a quella del decennio 1810-1820, con punte di quasi 2° in meno nel mese di luglio. I giorni di pioggia intensa aumentarono del 35% concentrandosi soprattutto nei mesi di aprile, maggio e giugno.
Incuriosito dall’eccezionalità climatica di quell’anno, Bonfioli aveva trascritto articoli dai giornali delle principali città europee (es. Parigi, Francoforte, Augusta), constatando che le anomalie meteorologiche di quell’anno (e della prima metà del 1817) non erano state un fenomeno locale, ma avevano coinvolto gran parte del vecchio continente. Da Parigi, il 15 febbraio 1817, giungevano notizie di “una specie di disordine nelle stagioni e nella temperatura” (fig.3,a); la Gazzetta di Milano, riprendendo notizie provenienti dalla Svizzera, parlava di un clima nel quale “sembra che in varie regioni tutto proceda in opposizione ai principi ricevuti”.


Fig. 3 - Pagine dal diario meteorologico di Giuseppe Bonfioli: a) notizie provenienti da Parigi del febbraio 1817 circa un certo “disordine nelle stagioni”; b) resoconto di fine anno 1816; c) estratto dalla Gazzetta di Milano del febbraio 1817 che parla del “ridicolo della stagione” e di “foltissime nebbie … sulle rive del Lago di Ginevra” (Archivio comunale di Rovereto).

Il dibattitto sullo strano evolversi delle stagioni fu alimentato anche da particolari fenomeni atmosferici osservati in varie città europee nei primi mesi del 1817: nebbie persistenti e basse, che velavano i cieli di strani rossori, furono osservate da Venezia a Parigi, dalla Sicilia all’Inghilterra. A questi eventi si erano sommate altre “cose degne di attenzione: le irregolarità e i singolarissimi accidenti dei Barometri; la deviazione dell’ago magnetico; il flusso e riflusso che accade nell’Adriatico. Molti studiosi avevano tentato invano di dare una spiegazione agli eventi verificatesi negli ultimi mesi senza giungere a una conclusione condivisa, tanto che nel Giornale astro-meteorologico del 1817 si scrisse: “Dell’annata corrente si discorse in più luoghi. Le vicende sue attribuirono alcuni alle macchie del Sole [...] Altri appigliaronsi alla calamita ed alle mosse dell’ago calamitato [...] Altri borbottarono contro la Cometa del 1811 [...]. Altri se la presero colle maree dell’Adriatico, ma non intendo né punto né poco cosa dir vogliono, [...] In somma non fecero invidia al popolo certamente, che Venere prendea per insolita e nuova stella, e per poco anche alcuno fuor de’ ghangheri non temea uscito il grande Asso mondano”.
Solo più di un secolo dopo si riuscì a dimostrare come buona parte di questi eventi fossero legati all’eruzione di un vulcano dall’altro capo della Terra. Nel 1979 gli oceanografi americani Henry e Elizabeth Stommel dimostrarono che l’eruzione del vulcano Tambora (1815), nell'arcipelago indonesiano della Sonda, era stata la causa delle anomalie climatiche del 1816. A rendere tragicamente famoso quell’anno contribuì la penuria di cibo e la conseguente carestia in tutta Europa, aggravata dal freddo intenso delle annate precedenti (fig. 3,b), che aveva già compromesso i raccolti e provato una popolazione che stava lentamente riprendendosi dalle conseguenze delle guerre napoleoniche.

Poco più di trent’anni prima, un’altra eruzione, quella del sistema islandese di Laki (8 Giugno 1783 - 8 febbraio 1784), aveva duramente colpito una vasta parte di Europa, Nord America, Asia e Africa settentrionale. Il 17 giugno erano apparse per la prima volta in Trentino strane esalazioni, che avevano reso l’aria densa e fosca e il sole costantemente velato; la caligine avvolgeva i fondovalle e le montagne sia di giorno che di notte, per sparire temporaneamente spesso a seguito di forti temporali e poi ricomparire fitta e densa come prima. Il sole, all’alba e al tramonto, assumeva “un color rosso d’una maniera che sembrava coperto di sangue, di modo che si poteva mirare ad occhi aperti senza esser offeso dai raggi e così pure colorita appariva la luna”. L’inspiegabilità del fenomeno aveva iniziato ad angosciare la popolazione; erano ormai più di due mesi che la strana esalazione aveva invaso le vallate alpine. A destare ulteriore preoccupazione, a partire dalla metà di luglio, erano stati alcuni temporali straordinari per l’intensità e la violenza dei fulmini.
Nel frattempo da altre città provenivano voci che fenomeni simili a quelli osservati nelle vallate alpine si erano registrati in gran parte del nord Italia e dell’Europa; i più importanti studiosi dell’epoca azzardarono le prime ipotesi sull’origine della ‘nebbia secca’ e sulla sua possibile pericolosità. Bonfioli annotò nel suo diario: “In giugno e luglio vi furono quasi ogni giorno esalazioni così forti tutto all’intorno che appena appena si distinguevano le vicine montagne, questo fenomeno fu eguale in tutto il Tirolo, Austria, buonaparte della Germania, in tutta l’Italia e Francia; furono queste esalazioni seguite da fieri temporali, e da quantità spaventevoli di fulmini colla peste ancora in fine nell’Ungheria e terremoti in Calabria” (fig.4). Lo studioso trentino sembrava quasi suggerire che le nebbie e i violenti temporali fossero in una qualche maniera collegati con la peste in Ungheria e con i terremoti nel sud Italia, eventi che avevano avuto particolare risonanza nella stampa nazionale di quell’anno.
 
Fig. 4 - Sintesi che il fisico Giuseppe Bonfioli fa dell’anno 1783 (Archivio comunale di Rovereto).

L’opinione più diffusa all’epoca era infatti quella che gli eventi sismici, che avevano colpito Messina e il sud della Calabria tra il 5 febbraio e il 28 marzo, potessero essere la causa della densa nebbia, molto simile a “l’aria nebulosa” descritta dopo le intense scosse, e che fosse la stessa prodotta dal terremoto, alzatasi nell’atmosfera portata da “li Venti Austrosiroccali” che avevano dominato nel mese di giugno (fig.5).
Altri studiosi, come il Cav. de Lamanon, naturalista dell’Accademia delle Scienze di Parigi, ipotizzava che la nebbia così come i terremoti del 1783 avessero cagione comune, ovvero la siccità che per alcuni anni aveva caratterizzato gran parte dell’Europa e dell’Asia. Tra le varie ipotesi vi era anche quella che potesse trattarsi della coda di una grande cometa che era stata osservata quell’anno e che avesse lasciato una scia di particelle nell’atmosfera.
 
Fig. 5 - Il devastante terremoto di Messina del 1783 (veduta ottica di G.B.Probst, Augsburg 1785)

Uno dei primi studiosi che correlò questi fenomeni alla loro reale origine fu un botanico toscano, Giovanni Lapi che, osservando i fuochi di Pietramala nel Mugello e l’aria caliginosa nelle immediate vicinanze, ipotizzò che per trovare la causa della caligine del 1783, bisognasse analizzare gli eventi eruttivi che si erano verificati nei mesi precedenti. A simili conclusioni era giunto il naturalista francese Mourgue de Montredon nell’agosto dello stesso anno, e Benjamin Franklin nel maggio del 1784. Questi studiosi associarono la nebbia all’eruzione di un vulcano islandese, visto che proprio i cieli del Nord Europa erano stati i primi ad essere invasi dalla caligine e che i giornali di quell’anno avevano riportato di eruzioni nelle “islandiche terre di fuochi”.
I primi effetti dell’eruzione del Laki (8 giugno) giunsero in Italia settentrionale dopo 9 giorni, e a fasi alterne (nei primi cinque mesi si susseguirono 10 eruzioni) le strane esalazioni rimasero fino al 30 agosto (con residui fino a fine settembre). L’incremento delle precipitazioni, in corrispondenza delle maggiori concentrazioni di particolato, risulta concorde al modello che prevede la temporanea eccedenza di nuclei di condensazione in atmosfera, favorendo gli eventi meteorici intensi.
Fig. 6 - Diario meteorologico di Bonfioli; il 10 luglio annota che “a cagione d’una forte esalazione la Luna fu per tutta la notte d’un colore sanguigno” (Archivio comunale di Rovereto).
Fenomeni analoghi furono annotati da Bonfioli anche nel 1821. Il 10 luglio di quell’anno: “a cagione d’una forte esalazione la Luna fu per tutta la notte d’un colore sanguigno” (fig.6). Una strana nebbia ricomparve nelle valli alpine il 18 agosto per rimanervi alcuni giorni. L’insolita caligine fu osservata in varie città del nord Italia (Padova, Venezia, Firenze), così come a Parigi e Londra. Prima della fine dell’anno un altro evento riaccese il dibattito tra gli studiosi sulle cause di tali anomalie. In molte città italiane ed europee violentissimi temporali accompagnati da vento impetuosissimo funestarono la notte di Natale del 1821. Il rapido e straordinario abbassamento del barometro, il nubifragio che colpì molte città portuali, la simultaneità dell’evento e la sua grande estensione, fecero pensare che la causa fosse da ricercarsi nella presenza in atmosfera di una “elettricità strepitosa fulminante”, come sembravano provare, oltre ai violenti fulmini caduti ovunque, anche le “strisce luminose che ora solcavano il mare a guisa di folgori, ed ora ne lambivano semplicemente la superficie”. Cosa avesse potuto scatenare simili fenomeni rimase senza risposta, sebbene fosse ancora vivo il ricordo delle analoghe condizioni atmosferiche che avevano contraddistinto l’estate del 1783.

L’eruzione del Krakatoa (vulcano nell'isola indonesiana di Rakata) il 26 agosto del 1883, fu per certi versi fondamentale per la comprensione delle relazioni tra sistemi atmosferici ed eventi vulcanici intensi posti anche a notevoli distanze. In occasione della comparsa in Europa, verso la fine di agosto 1883, di “nebbie secche” e a fenomeni crepuscolari simili a quelle del 1783, lo studioso W.H. Larrabee ipotizzò che questi avvenimenti fossero collegati all’eruzione del Krakatoa, così come confermò che gli analoghi fenomeni del 1783 dipendessero dall’eruzione del vulcano Laki in Islanda, e quelli del 1821 dalla probabile eruzione nell’isola di Bourbon, del 27 febbraio di quello stesso anno.
Oggi sappiamo che l’eruzione dell’isola Bourbon (ovvero il Piton de la Fournaise nell'isola di Reunion, di fronte al Madagascar), invocata al tempo come possibile causa scatenante, non fu di intensità sufficiente a far risentire i suoi effetti fino al continente europeo. Allo stesso modo, le numerose eruzioni avvenute tra 1820 e 1821 tra Pacifico e Sud America cui si aggiungono gli italiani Stromboli, Etna e Vesuvio, risultano di intensità troppo bassa per giustificare una perturbazione a cosi larga scala e di conseguenza la causa delle anomalie metereologiche del 1821 rimane a oggi senza spiegazione.

Gli effetti diretti o indiretti delle eruzioni del 1783, del 1815 e forse del 1821, non sfuggirono agli osservatori del passato ed ebbero sovente ripercussioni su economia, ecosistemi e società. Le tesi che fisici, astronomi, naturalisti e medici del tempo elaborarono per giustificare questi “apparenti disordini delle leggi fisiche dell’universo” furono numerose e talora fantasiose. Purtuttavia lo scambio di informazioni tra studiosi di diverse città per documentare e spiegare questi strani fenomeni, veicolate anche attraverso la stampa dell’epoca, favorì il dibattito pubblico accorciando le distanze di un mondo che stava lentamente abbandonando superstizioni e credenze popolari per lasciare il posto a un moderno pensiero scientifico.

Per saperne di più:

Salvador I., Romano M. & Avanzini M., 2018 - Gli “apparenti disordini delle leggi fisiche dell’universo”: gli effetti delle eruzioni del Laki (1783) e del Tambora (1815) nelle cronache delle regioni alpine. Rendiconti Online Società Geologica Italiana, Vol. 44(2018): 72-79. https://doi.org/10.3301/ROL.2018.11

Salvador I., Romano M. & Avanzini M., 2017 - "Da per tutto il cielo sembrava di fuoco": gli strani fenomeni atmosferici del 1821 in Trentino e una misteriosa eruzione. Studi trentini di scienze naturali, 96 (2017): 133-141.


domenica 24 giugno 2018

Il cammino minerario di Santa Barbara

di Marco Pantaloni

http://www.camminominerariodisantabarbara.org/it/in-cammino/il-percorso/

In un periodo convulso e difficile come quello che stiamo attraversando, sempre più di frequente si cerca rifugio nella spiritualità e nella ricerca del proprio essere.
Anche l’unione tra l’arricchimento culturale e umano, unito ad una pratica ormai quasi abbandonata, che è quella del camminare, spinge le persone a cercare di soddisfare le proprie esigenze seguendo percorsi che, segnati nei secoli dal camminare dei pellegrini, conducono verso luoghi simbolo, quasi sempre di carattere religioso.
Il motivo dell’affrontare questi pellegrinaggi è quasi sempre di natura religiosa, associato al contesto storico in cui questo si svolge. Oggi, tuttavia, questa motivazione non è più determinante e, comunque, non è più esclusiva.
In Spagna, famoso è il “Cammino di Santiago” che da varie località conduce verso Compostela e la Basilica dove sono conservate le spoglie mortali di San Giacomo (ad limina sancti Iacobi).
In Italia, altrettanto famosa è la “Via Francigena”, o Romea; in questo caso si tratta di un fascio di vie e sentieri che dall'Europa occidentale, in particolare dalla Francia, conducevano dapprima a Roma e poi proseguivano verso la Puglia, dove si trovavano i porti d'imbarco per la Terrasanta, meta dei pellegrini e dei crociati. La Via Francigena è stata riconosciuta nel 2004 come “Grande Itinerario Culturale Europeo”, tanto che lo storico Jacques Le Goff l’ha definita “il ponte tra l’Europa anglosassone e quella latina”. L’importanza culturale di questo itinerario culturale punta verso la candidatura della Via Francigena come patrimonio mondiale dell’Unesco.

Girando in rete abbiamo scoperto, quasi per caso, in un itinerario che unisce l’osservazione dell’attività geologico-mineraria al misticismo di Santa Barbara, protettrice dei geologi e dei minatori: il “Cammino minerario di Santa Barbara”.


Il Cammino minerario di Santa Barbara si sviluppa per una lunghezza di 388 km, che arrivano a 407 con le varianti, lungo un circuito ad anello nella regione del Sulcis-Iglesiente-Guspinese.
Il percorso si svolge per il 75% su sentieri, mulattiere, carrarecce e strade carrabili sterrate, e per il restante 25% su strade urbane o extraurbane asfaltate o lastricate. Il cammino si sviluppa in 24 tappe, della lunghezza media di circa 16 km, con una quota che va dal livello del mare ai circa 900 metri nel sistema montuoso del Marganai. Numerosi sono i dislivelli, anche se quasi mai impegnativi.
La suddivisione nelle tappe è stata effettuata in modo da permettere con facilità il percorso, anche alle persone non allenate, e anche per lasciare il tempo agli escursionisti di visitare luoghi di archeologia classica e industriale di suggestiva bellezza.
Quindi, l’itinerario è stato suddiviso in 24 tappe della lunghezza media di circa 16 km ciascuna, tenendo conto anche della ricettività dei villaggi minerari attraversati. Il calcolo delle percorrenze si basa su una velocità media di 3 km/h, stimata sulla velocità di un camminatore che, frequentemente, si ferma ad osservare i paesaggi, le forme del terreno, le formazioni geologiche, le strutture minerarie, i resti archeologici e le meraviglie del territorio sardo.
Ovviamente il percorso può essere calibrato in base alle proprie esigenze, alla disponibilità di tempo, all'interesse delle visite nei singoli siti.

Gli organizzatori comunicano “lavori in corso” nella definizione della percorribilità dei tracciati; è quindi importante, prima di intraprendere il cammino, verificare l’effettivo aggiornamento della segnaletica. In caso di manutenzione, l’organizzazione dichiara di predisporre itinerari alternativi, tutti marcati con una specifica segnaletica.

Sul sito Web del cammino, si trova l’indicazione completa del percorso e la suddivisione delle singole tappe:




1. Iglesias→ Nebida
2. Nebida→ Masua
3. Masua→ Buggerru
4. Buggerru → Portixeddu
5. Portixeddu → Piscinas
6. Piscinas → Montevecchio
7. Montevecchio → Perd' e Pibera
8. Perd' e Pibera → Villacidro
9. Villacidro → Monti Mannu
10. Monti Mannu → Arenas
11. Arenas→ San Benedetto
12. San Benedetto → Case Marganai
13. Case Marganai → Domusnovas
14. Domusnovas → Orbai
15. Orbai → Miniera Rosas
16. Miniera Rosas → Nuxis
17. Nuxis → Santadi
18. Santadi → Is Zuddas
19. Is Zuddas → Masainas
20. Masainas → Sant' Antioco
21. Sant' Antioco → Carbonia
22. Carbonia → Nuraxi Figus
23. Nuraxi Figus → Bacu Abis
24. Bacu Abis → Iglesias

Alcuni dei luoghi percorsi sono estremamente suggestivi e, da un punto di vista geologico, particolarmente interessanti; prima di partire si consiglia la lettura del volume “Geologia della Sardegna – Note illustrative della Carta geologica della Sardegna a scala 1:200.000”, pubblicato nella Collana Memorie Descrittive della Carta Geologica d’Italia, vol. 60, 2001, disponibile in rete sul sito dell’ISPRA (http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/periodici-tecnici/memorie-descrittive-della-carta-geologica-ditalia/geologia-della-sardegna-2013-note-illustrative-della-carta-geologica-della-sardegna-a-scala-1-200.000).



Come nei più blasonati cammini spagnoli, anche il “Cammino Minerario di Santa Barbara” prevede l’attribuzione di una Credenziale personale ai singoli escursionisti: la credenziale è una sorta di “passaporto” dell’escursionista che ne attesta la sua identità e lo distingue da ogni altro viaggiatore. Nella credenziale, inoltre, vengono indicati luogo e data di arrivo e partenza, e ci sono gli spazi per i timbri che attestano l’avvenuto passaggio nelle singole tappe del Cammino.
La credenziale è rilasciata dalla Fondazione Cammino Minerario di Santa Barbara e può essere richiesta su sito www.camminominerariodisantabarbara.org o acquistata presso il service point della Fondazione in piazza Municipio 1 a Iglesias.
I timbri verranno apposti dagli organismi religiosi, dagli uffici comunali e da altri soggetti privati; ogni sera, all'arrivo nel luogo del pernotto, la credenziale si arricchisce di un timbro che diventa così il ricordo più prezioso della fatica del cammino.

Per saperne di più: